VIALE TRAIANO, GLI AFFARI SUL FILO DEL TEVERE

Ostiololi_20250831_230913_0000Non solo pineta e spiagge. In questa estate 2025 le fiamme sembrano aver “puntato” altri obiettivi sul litorale romano. L’acqua e il fuoco, elementi opposti, sullo scacchiere di OstioPoli sembrano andare a braccetto. Due incendi in pieno agosto aggrediscono i cantieri navali lungo il Tevere. Anche le date non sembrano un caso: a ridosso di Ferragosto, quando Roma si svuota e si addormenta nei suoi silenzi, con le saracinesche abbassate. In quei giorni sospesi, in cui la città eterna si concede al respiro delle ferie, il litorale vive l’altra faccia dell’estate: la calca dei bagnanti, il traffico che distrae e le forze dell’ordine costrette a presidiare a ranghi ridotti. Scenario perfetto affinché il fuoco si possa insinuare tra gli argini del Tevere. Il primo allarme squilla il 10 agosto. Le fiamme devastano parte di una struttura in via delle Orcadi a Ostia. Sei giorni dopo, il 16, un rogo ancora più sospetto a Isola Sacra: oltre ai capannoni danneggiati, i carabinieri hanno rinvenuto inneschi e rifiuti speciali. Episodi che, secondo gli investigatori, non possono essere liquidati come incidenti isolati. Dietro le fiamme, piste investigative intravedono nuovi affari: quelli che girano intorno alle concessioni fluviali, diventate più appetibili ormai di quelle balneari, a Ostia fin troppo chiacchierate. A differenza delle spiagge, il demanio idrico non è in mano ai Comuni ma rimane sotto la diretta gestione della Regione Lazio, che dal 2022 applica il nuovo regolamento n.1. Oggetto della concessione è l’intero bene idrico: specchio acqueo, suolo antistante, manufatti e destinazione d’uso. Le durate oscillano da 30 giorni fino a 19 anni, con la quasi totalità dei titoli assegnati nella fascia più lunga.

La convenienza economica è evidente. I canoni sono di molto inferiori a quelli marittimi, con possibilità di riduzioni fino all’80%. Un cantiere in via Monte Cadria, Isola Sacra, versa ogni anno 6.656 euro per utilizzare oltre 1.200 mq di specchio acqueo fino al 2033. Cifre irrisorie se paragonate ai guadagni generati da rimessaggi, ormeggi e lavorazioni nautiche. In più, spesso il suolo non è compreso: appartiene a privati che chiedono un canone parallelo, in un intreccio di accordi poco trasparenti che la stessa Regione, in alcuni casi, invita a regolarizzare.
È qui che la legalità rischia di sfumare. Il settore, scarsamente controllato, finisce per attrarre capitali sospetti e appetiti criminali.
E così ritornano alla mente quelle vecchie storie che a Ostia la memoria non riesce ad archiviare.

Nel 1998, un cantiere all’Idroscalo di Ostia fu al centro di una vicenda giudiziaria: la Guardia di Finanza tentò il sequestro per 630 milioni di lire di canoni arretrati, ma sessanta operai si incatenarono minacciando di darsi fuoco. Alle spalle dell’ex proprietario, travolto dai debiti, emerse l’ombra della Banda della Magliana, attraverso il cassiere Enrico Nicoletti che aveva imposto interessi usurai da capogiro.

A distanza di decenni, i nomi che ritornano sono anelli di congiunzione. Su Fiumicino e i suoi cantieri si allunga la figura di Ernesto Diotallevi, storico esponente della Magliana, uomo di fiducia di Pippo Calò e mediatore tra mafia siciliana e affari romani. A settant’anni suonati, “Sor Ernesto” – come lo chiamavano negli anni d’oro – non avrebbe perso l’abitudine di guardare al settore nautico come a una miniera d’oro.

Le intercettazioni del 2013 lo fotografano mentre, insieme ai figli Mario e Leonardo, progetta di rilanciare un cantiere a Fiumicino con un’idea tanto semplice quanto redditizia: aprire una pompa di benzina dentro il porto per contrabbandare carburante. Il piano era articolato: movimentazioni fittizie di gasolio destinato a imbarcazioni estere, caricato da prestanome e scaricato in cisterne nascoste. Il carburante sarebbe poi rientrato sul mercato a prezzi maggiorati, sfruttando i diversi regimi fiscali.
Ma Diotallevi non è solo il “vecchio boss” che prova a reinventarsi. La sua biografia è già di per sé un pezzo di storia criminale romana. È l’uomo che “visse due volte”. Ex mozzo al Mattatoio di Testaccio, fu il punto di incontro tra la Banda della Magliana e Cosa Nostra, con Pippo Calò trapiantato a Roma sotto falso nome. Negli anni ’70 gli fu persino dedicato un necrologio: il 29 dicembre 1972, dopo il ritrovamento di una Citroen crivellata di colpi ai Parioli, a suo nome, i giornali ne annunciarono la morte. Ma il cadavere era di un altro, il camorrista Carlo Faiella. Diotallevi era vivo, e da lì in avanti costruì un impero.

Un impero confermato mezzo secolo dopo dalle indagini della Guardia di Finanza: 43 unità immobiliari tra Roma, la Sardegna e Gradara, società offshore e proprietà di lusso, come una villa nell’isola di Cavallo, in Corsica. Fino all’attico da quattordici vani con vista su Fontana di Trevi, confiscato nel 2018 al termine di un lungo iter giudiziario. Operazione battezzata “Trent’anni”: la sintesi di una carriera da mediatore tra mafie e palazzi, da cui Diotallevi uscì ridimensionato ma mai davvero sconfitto.
Il progetto di Fiumicino testimonia però la continuità di un interesse che lega da sempre criminalità organizzata e cantieristica nautica. Perché laddove ci sono concessioni a basso costo e margini enormi di guadagno, il confine tra legalità e malaffare si assottiglia.

Oggi i due incendi di Ostia e Fiumicino riportano il copione all’attualità. Cantieri che bruciano, concessioni che cambiano mano, aree demaniali gestite al ribasso. Immergersi nelle autorizzazioni è come affondare in sabbie paludose.
La domanda è inevitabile: chi vigila davvero? Il mare ormai è sotto un’osservazione stretta solo in modo apparente (e sotto il reale controllo dei soliti nomi), e il fiume rischia di diventare il nuovo “porto franco” del malaffare romano.
Viale Traiano è il passaggio obbligato verso il porto-canale, l’area dei cantieri e dove hanno sede la Capitaneria di porto e il Comando Compagnia Fiumicino: coloro che devono vigilare sul fiume. Come sul tabellone di OstioPoli: chi “mette le mani” lì non conquista solo uno “spazio”, ma il controllo di un crocevia di interessi che intreccia la cantieristica fluviale ai rimessaggi, ai grandi yacht. Attorno a quell’asse scorrono non soltanto barche e motori da riparare, ma anche attività commerciali di pregio, ristoranti di chef noti che hanno scelto proprio gli argini del Tevere come vetrina e, poco più in là, circoli esclusivi che coccolano clientele selezionate. Un altro mondo, che fa da cerniera tra economia di facciata e appetiti grigi. Non un gioco da tavola, ma un tavolo dove a sedersi è chi comanda davvero.

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