CHI SA, VEDE – PILLOLE DI URBANISTICA #5

Bianco Nero Rosa Minimal Grunge Musica Copertina Album_20251213_140020_0000Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1943 venne distrutto lo Stabilimento Roma ad Ostia e puntualmente riemerge la nostalgica proposta di una sua ricostruzione.

La questione non è solo quella del recupero storico o identitario. Richiede invece una riflessione sul rapporto tra architettura, etica e progetto politico. Al di là del mutato quadro normativo, pianificatorio e vincolistico, giova ricordare che lo Stabilimento Roma non fu un semplice impianto balneare, bensì un dispositivo spaziale coerente con il programma culturale del primo fascismo, nel quale l’architettura assumeva una funzione pedagogica e rappresentativa: il controllo del tempo libero, la centralità del corpo come paradigma della rigenerazione nazionale e la monumentalità come linguaggio del potere. Anche il rapporto con il mare, impostato secondo una logica di dominio tecnico e simbolico, rifletteva una visione antropocentrica tipica del contesto ideologico di riferimento.

La ciclica proposta di una sua ricostruzione “com’era e dov’era” solleva interrogativi etici rilevanti. L’architettura per definizione non è mai neutra: riprodurre un linguaggio nato come strumento di rappresentazione ideologica genera solo una replica acritica, difficilmente compatibile con i valori culturali, sociali e ambientali contemporanei, culturalmente problematica, procedimentalmente complessa e potenzialmente incoerente con gli obiettivi di tutela della costa.

Un conto è la conservazione e la lettura critica del rapporto tra spazio, potere e società, altro è la ricostruzione ideologica di un’architettura celebrativa.

Il nostro primo dovere, innanzitutto come cittadini, è di avere senso di responsabilità nell’esercizio della memoria, che può esercitarsi solo all’interno dei limiti etici, ambientali e normativi dell’oggi.

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