CHI SA, VEDE – PILLOLE DI URBANISTICA #6

Bianco Nero Rosa Minimal Grunge Musica Copertina Album_20251214_025734_0000Il Ponte dell’Industria, costruito negli anni Sessanta dell’Ottocento, è una delle prime infrastrutture della Roma moderna. Nato come ponte metallico funzionale al sistema industriale e portuale dell’Ostiense, non è mai stato un monumento, ma un dispositivo produttivo. Il suo nome non celebra un valore: descrive una funzione. Ed è proprio questa precisione storica che è stata messa in discussione.

Gli aspetti che ci appaiono i più gravi:

 

1) urbanisticamente si tratta di una rottura della continuità tra forma urbana e significato storico rendendo di fatto la città illegibile. Una città che non si lascia leggere non si può governare, solo raccontare e ogni spazio può diventare qualsiasi cosa, a seconda della convenienza politica del momento, rompendo il rapporto tra spazio e memoria e la città diventa solo un manifesto.

 

2) In una Repubblica che si definisce “fondata sul lavoro”, cancellare di fatto simbolicamente la parola “industria” dallo spazio urbano non è un dettaglio toponomastico, è una scelta culturale. Il Ponte dell’Industria era uno dei rarissimi luoghi in cui Roma nominava senza filtri la propria modernità produttiva. Aggiungere il nome e la statua di un Santo, dunque un simbolo spirituale, significa arretrare dall’alfabeto repubblicano a un immaginario pre-politico, dove i valori morali prendono il posto dei rapporti sociali reali.

 

3) Che questa scelta avvenga sotto un sindaco del Partito democratico, storico ed economista come Roberto Gualtieri, rende la contraddizione ancora più netta. Per anni Gualtieri ha parlato di lavoro, di città produttiva, di superamento della Roma cartolina. Poi, nel momento in cui la città poteva raccontare se stessa attraverso la sua infrastruttura più onesta, sceglie la metafora invece della storia, il santo invece del lavoro. Non è ingenuità: è rinuncia.

 

4) Il fatto che su questa operazione convergano centrosinistra e destra dice tutto. Quando tutti possono dirsi d’accordo davanti a un santo, significa che il lavoro non divide più, perché non viene più nominato. È così che una Repubblica “fondata sul lavoro” finisce per assomigliare di nuovo a un Paese di simboli rassicuranti: non più santi, poeti e navigatori per decreto, ma santi per mancanza di coraggio politico.

 

 

 

 

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