OSTIA E SUBURRA, LA “TASSA PATRIMONIALE” DA PAGARE

Ostiololi_20251020_120922_0000Mentre il Municipio si arrampica sugli hashtag dei social, un ragazzo muore in strada, vittima di un coltello, forse della droga, sicuramente di un quartiere che non riesce più a salvarsi da un’etichetta che lo imprigiona da oltre 40 anni. E chi dovrebbe salvarla e difenderla, finisce per svilirla. Corsi e ricorsi di un territorio dove l’improvvisazione la fa da politica. L’amministrazione di Mario Falconi, il medico titolare di uno studio di cardiologia con la specializzazione in gastroenterologia (come riporta il suo curriculum sul sito istituzionale del X Municipio) in un giorno così difficile per quanto accaduto decide di lanciare sulla propria pagina facebook (ufficiale) la campagna pubblicitaria ideata da un privato (la società Ostiamare) con tanto di foto di Daniele De Rossi in primo piano che non le manda a dire: «Il Municipio X si è appropriato indebitamente di un’iniziativa non propria, generando confusione comunicativa». E non solo, la società è stata costretta a ritirare la campagna promozionale, nonostante costi e investimenti. Tradotto: avete fatto disastri. Figuraccia istituzionale servita su un piatto d’argento al grande pubblico, tra un click con il cuoricino e un pollice alto (post poi fatto sparire dalla pagina web del X). Uno “schiaffo in faccia” nella pubblica piazza virtuale arrivato direttamente all’indirizzo di Mario Falconi, presidente tanto lupacchiotto da chiamare il suo cane “Totti” (forse DDR non gliel’ha perdonato?).

 

Eppure in principio furono baci e abbracci. Almeno da una parte, quella di Falconi che non perdeva occasione per ricordare al Daniele bambino di quando frequentava casa Falconi perché studiava con il figlio del minisindaco. Quel presidente che ancora oggi non rinuncia a rincorrerlo per chiedergli un immancabile selfie, come un qualsiasi tifoso nostalgico di Capitan Futuro. Vedasi la festa biancoviola al Pontile (autorizzazioni e permessi, altro capitolo). Gossip a parte, la risposta a Netflix si conferma l’ennesimo boomerang per il Municipio di Ostia. L’ennesimo autogol in una lunga saga di errori.

 

Nell’estate del 2018 la “Ridley Scott” dello spot promozionale di Ostia fu Giuliana Di Pillo che commissionò la pubblicità trasmessa dalle radio (anche alle fermate Metro) che prometteva per chi veniva a Ostia “Un’estate senza testate”. Citazione ironica della violenza mafiosa di Roberto Spada e del suo gesto che ferì il giornalista Rai. Perfino la Raggi da sindaca fu costretta a prendere le distanze da quella scellerata scelta. Genio.

 

Non andò meglio al PD. Nel 2015, in piena emergenza mafia, l’intuizione lampo venne al Partito Democratico con Marino sindaco. Una campagna per celebrare sui manifesti che tappezzarono Roma i nuovi varchi “liberi” verso il mare (che fine hanno fatto poi?). Peccato che la foto che campeggiava su vele 6×3 non fosse di Ostia, ma di Rimini. «Scelta voluta», disse l’allora presidente della commissione Ambiente, Athos De Luca: volevano mostrare una spiaggia senza stabilimenti. Genio alla seconda.

 

Ostia continua, così, a rimanere vittima della sua narrazione. Sbagliata sicuramente. Non è Suburra, è vero ma l’alternativa non può essere quella di postare cose a caso: che siano immagini con il copyright dell’Ostiamare o foto dei nostri bellissimi tramonti. Che sono da incanto, per carità ma non convincenti abbastanza per dire che qui va tutto bene. L’altra notte è stato accoltellato un ragazzo. Di notte, sotto casa. Mentre molti vi rientravano dopo aver smontato da un turno faticoso.

 

Com’era la pubblicità che tanto ha fatto indignare? «Finisci a Ostia ed è subito Suburra». Quarantotto ore dopo quella mobilitazione generale – dal sindaco Gualtieri in giù – non ha di certo smentito Netflix, tanto nei fatti quanto nelle parole. Morire a 17 per una coltellata, forse per questioni di droga. Ostia non sarà Suburra. Ma un po’ le assomiglia. E anche soltanto ammetterlo e non negarlo a prescindere può davvero rappresentare il primo passo verso il cambiamento.

 

Intanto questa è la “tassa” (patrimoniale, è il caso di dire) che questa parte di Roma deve pagare. Dopotutto è vero: non è Suburra.

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