Il vecchio boss che decide la partita di Ostia.
Giacca, cravatta, modi affabili e sguardo impenetrabile. Francesco D’Agati, classe 1936 è il boss della vecchia guardia di Ostia che oggi vive tra le villette basse di Nuova California e le strade che scompaiono nella pineta, dove i Fragalà restano una presenza costante. Uomo di rappresentanza di Cosa Nostra, fratello del capomandamento di Villabate, già braccio destro di Pippo Calò, D’Agati è stato per decenni considerato il garante di equilibri fragili e l’arbitro silenzioso delle guerre criminali sul litorale sud di Roma. A lui tutti hanno sempre portato “rispetto” e non solo tra i sodali di rango. C’è chi ricorda di Sabrina Fasciani, figlia di Carmine, che gli rendeva omaggio con un gesto antico e mafioso: il baciamano. Perché D’Agati non è mai stato un boss di facciata: era il “signore” che decideva la qualità della cocaina immessa sulle piazze di Ostia. Le voci di mala che si susseguono nelle strade dei quartieri raccontano di una spada custodita in casa, sulla cui lama venivano stese diverse tipologie di polvere bianca. Sarebbe stato lui personalmente a sceglierne i tagli migliori. «A Ostia monnezza non deve arrivare», era il suo mantra.
Nella geografia criminale di Ostia, D’Agati ha sempre giocato un altro campionato. Gli Spada non rientravano nelle sue orbite. Erano gli “zingari”, quelli della manovalanza. Per lui il potere era questione di rappresentanza, di eleganza e di equilibri tenuti in piedi dal sangue e dal silenzio. Non a caso, fu lui a intervenire per pacificare lo scontro tra Triassi e Fasciani, dopo la guerra per il controllo delle spiagge libere culminata nelle gambizzazioni dei fratelli siciliani. Una pax mafiosa che gli inquirenti hanno sempre indicato come «decisiva» per evitare che le forze dell’ordine azzerassero ogni affare.
Ma la droga non era l’unico business di “Don Ciccio”. Il vecchio boss sarebbe stato a capo anche di un circuito di riciclaggio attraverso attività di copertura, soprattutto ristoranti sul mare. Non era un mistero che frequentasse i migliori locali di Ostia, in alcuni dei quali il pranzo era “gentilmente offerto”. Da quelli negli stabilimenti (quelli in cui i varchi aperti e poi chiusi sarebbero stati l’ultimo dei problemi) alle locande di cucina partenopea scomparse da un giorno all’altro. Proprio sul lungomare che lui spesso frequentava, nell’estate del 2012, esplose una bomba: un messaggio che fece tremare la stagione balneare e che in questi periodi riecheggia nell’ordigno piazzato alla palestra della famiglia Di Napoli.
Il filo rosso porta dritto a Kevin Di Napoli, figlio del campione di pugilato Gianni, ex picchiatore al servizio di Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik. Kevin era noto per i rapporti con Marco Esposito “Barboncino” e poi con lo stesso Diabolik, ma sullo sfondo restava l’ombra lunga di D’Agati, l’uomo che aveva decretato le “paci” vere, quelle riconosciute da tutte le mafie. Rispetto a lui, Piscitelli era poco più che un parvenu.
Lo stesso Ciccio, interrogato a riguardo, liquidava il leader degli Irriducibili con una frase tagliente: «Poco cervello. Ucciso da uno straniero, segno che non contava niente».
La parabola di D’Agati si consuma nella sua Ostia, tra omaggi pubblici e timori silenziosi. Se i Fasciani si spartivano il potere con i Triassi, se gli Spada scalpitavano per salire di grado, il vecchio Ciccio resta la figura di garanzia. Lui e Michele Senese erano gli unici autorizzati a mettere ordine quando la guerra rischiava di far saltare i conti.
Ostia resta un terreno maledetto, crocevia di cocaina sudamericana, stabilimenti balneari e faide a bassa intensità. Qui le bombe, dai rimessaggi nautici alle palestre, continuano a scandire i regolamenti di conti. Eppure di Don Ciccio D’Agati: all’indomani di ogni sparatoria o attentato intimidatorio le prime pagine dei giornali sono per altri nomi, mentre lui appare quasi come un “fantasma elegante”, simbolo di un potere criminale che non ha mai lasciato davvero il mare di Roma. Una scelta che può apparire come un “Vicolo Stretto” rispetto alla grandezza della sua terra di Sicilia, ma in realtà è proprio sul mare di Roma che ora si decide la partita.
Perché a “Ostiopoli”, basta avere le carte giuste per far saltare il banco.