DOSSIER PASOLINI – LA MORTE NELLA NUOVA OSTIA COMUNISTA

dossier pasolini

Il corpo di Pier Paolo Pasolini fu trovato il 2 novembre 1975, giorno della ricorrenza dei morti, nella zona dove oggi sorge il Porto Turistico di Roma ad Ostia, attuale Municipio X (ex-XIII, già Circoscrizione XIII del Comune di Roma). Il luogo era vicino non all’abitato dell’Idroscalo di Ostia, ma ai famigerati palazzi Armellini di Nuova Ostia, una delle storie di speculazione edilizia più gravi della Roma post bellica.

Pasolini fu ucciso, ma chi e perché rimane ancora un mistero. E’ dei giorni scorsi la notizia battuta dall’ANSA che è stata depositata alla Procura di Roma una istanza per chiedere la riapertura delle indagini relative all’omicidio di Pier Paolo Pasolini. L’atto è stato redatto dall’avvocato Stefano Maccioni, a nome del regista David Grieco e dello sceneggiatore Giovanni Giovannetti, e chiede di accertare a chi appartengano i tre Dna individuati dai Carabinieri del Ris nel 2010 sulla scena del crimine.
Quello che è certo è che il poeta fu aggredito da più persone e volutamente sfigurato, passando più volte con un’auto sul suo corpo esanime. Una morte volutamente archiviata, tra bugie, silenzi e depistaggi, come quella di un corruttore di minorenni omosessuale, “frocio e basta”.

Pasolini è stato condannato a morire come un omosessuale che paga i ragazzini, ammazzato da un minorenne mentre cerca di violentarlo. Una morte infamante, che azzera la verità scomoda, che nasconde il verbo pasoliniano.

E poi teorie su teorie, anche quella provocatoria, simbolica e potente (e forse nemmeno troppo peregrina) di un grande intellettuale che ha scelto il luogo, la data e il modo per morire: il suo lamento funebre.
LabUr vuole dare un contributo a questa violenta vicenda che ha segnato e continua a segnare la storia di questo Paese e del Municipio X, in particolare dell’Idroscalo. Perché al di là delle sentenze, delle inchieste, delle rivelazioni, dei teoremi, dei complotti, nessuno si è curato dei ragazzi sulla soglia del delitto. Silenti, allora, faranno rumore nella loro carriera criminale – senza cesura tra bene e male, innalzati ad eroi di fiction che scivolano nell’epica del banalità del male – testimoni che forse trovò solo Sergio Citti dieci giorni dopo il ritrovamento del corpo e rivelati solo nel 2005 pochi mesi prima di morire e che chissà se faranno parte di un prossimo processo.

La scena del crimine è tutto. Il luogo dove è stato compiuto un crimine è il punto di congiunzione tra la criminalistica e la criminologia. L’unico in grado di farci capire chi sia il colpevole. E di questo LabUr vuole narrare, della scena del crimine, un approccio diverso dai mille racconti non veritieri narrati da chi quei posti non li ha mai conosciuti.

IL CONTESTO STORICO

La morte di Pasolini avvenne un mese dopo l’orribile massacro del Circeo che scosse e indignò l’intera nazione.

Era la notte tra il 30 settembre e il ottobre 1975. Un Metronotte avvisa i Carabinieri che dal bagagliaio di una FIAT 127 si sentono dei lamenti. Quando viene aperto, i militari trovano due giovani ragazze avvolte in bustoni di plastica, nude, ferite, i volti ridotti a maschere di sangue. Una, è morta. I tre macellai sono giovani dei Parioli, quartiere dell’alta borghesia romana appartenenti al mondo della militanza politica armata di estrema destra. Un analogo fatto di cronaca, avvenuto pochi giorni dopo (l’8 ottobre 1975) nella periferia romana c.d. di ‘sinistra’, viene invece relegato dal quotidiano L’Unità nella cronaca locale.

In un prato ai margini della Circonvallazione Subaugusta (Cinecittà), sette ragazzi – il più grande 18 anni, il più piccolo 15 – prelevano da una FIAT 125 una giovane ragazza che si era appartata con il fidanzato. Lui viene bastonato e rinchiuso nel bagagliaio, lei violentata a turno. Un’azione preparata in un bar di piazza Don Bosco, con la stessa violenza del Circeo: «Bada che ti facciamo quello che hanno fatto a Rosaria Lopez», la ragazza uccisa dai pariolini. La violenza nelle periferie in quegli anni era impressionante.

LA CONDANNA DELLA SINISTRA

Erano gli anni dove tutto veniva confinato in un clima infuocato di una politicizzazione integrale del discorso pubblico.

Proprio l’8 ottobre del 1975, dalle colonne del Corriere della Sera, mentre L’Unità nasconde la violenza nella proletaria Cinecittà, Italo Calvino sferra un durissimo attacco alla società borghese prendendo spunto dal massacro del Circeo di una settimana prima. I carnefici erano «borghesi», «fascisti», «pariolini», violenti. Una efferatezza bestiale contro donne «proletarie», una propensione al sopruso «di classe» in una condizione di illegittimo privilegio.

Sarà solo Pasolini, il 30 ottobre, due giorni prima che trovassero il suo corpo ammazzato, a criticare Calvino sulle pagine de Il Mondo, una cruda denuncia al clima di violenza diffuso che in quel periodo esprimevano i giovani di Roma, una città appena uscita dal tentativo del colpo di Stato noto come «Golpe Borghese» (7-8 dicembre 1970), dal nome dell’ex comandante fascista Junio Valerio Borghese, a capo del Fronte Nazionale.
Erano gli anni di piombo, erano gli anni in cui si era passati dall’estremismo al terrorismo. Erano gli anni della fine della dittatura in Spagna di Francisco Franco, morto il 20 novembre 1975. Erano gli anni del colpo di Stato in Cile di Augusto Pinochet ai danni del governo democraticamente eletto di Salvador Allende.

Nella citata “Lettera luterana” rivolta a Calvino (“Tu dici”) Pasolini scrisse che anche se su livelli sociali diversi, i comportamenti dei giovani erano identici. Pariolini e borgatari erano contagiati dalla stessa brutalità.

«Tu hai privilegiato i neofascisti pariolini del tuo interesse e della tua indignazione, perché sono borghesi. La loro criminalità ti pare interessante perché riguarda i nuovi figli della borghesia… Se a fare le stesse cose fossero stati dei “poveri” immigrati a Milano o a Torino, non se ne sarebbe parlato tanto in quel modo. Per razzismo. Perché i “poveri” delle borgate o i “poveri” immigrati sono considerati delinquenti a priori. Ebbene i “poveri” delle borgate romane e i “poveri” immigrati, cioè i giovani del popolo, possono fare e fanno effettivamente (come dicono con spaventosa chiarezza le cronache) le stesse cose che hanno fatto i giovani dei Parioli… I giovani delle borgate di Roma fanno tutte le sere centinaia di orge (le chiamano batterie) simili a quelle del Circeo; e inoltre, anch’essi drogati… tutte le sere quelle centinaia di batterie implicano un rozzo cerimoniale sadico. L’impunità di tutti questi anni per i delinquenti borghesi e in specie neofascisti non ha niente da invidiare all’impunità dei criminali di borgata».

Una realtà vera e vissuta di persona da Pasolini, una realtà che si ritrova nelle parole di David Maria Turoldo dedicate alla madre del poeta e da lui lette al funerale a Casarsa, nella chiesa di Santa Croce, il 6 novembre 1975: «C’è troppa violenza su Roma. Non c’è un fiore più che sbocci e non un alito di vento che ne spanda il profumo; non un fanciullo con la faccia pura; non un prete che preghi».

Per Pasolini il mostro dell’omologazione consumistica aveva disintegrato le classi. La sua risposta a Calvino era una sferzata ai comodi clichés della cultura di sinistra e solo la morte all’Idroscalo di Ostia, quarantotto ore dopo, impedì il consueto profluvio di polemiche che negli ultimi anni aveva travolto ogni sua scorreria «corsara». Pasolini aveva colto la narcotizzante pigrizia intellettuale, l’aggrapparsi a certezze solide ma inaridite dall’uso e dall’abuso: l’antifascismo rituale, l’identificazione convenzionale tra borghesia italiana e fascismo, la pretesa di fissare una volta per tutte l’inferiorità antropologica e financo umana del «nemico».

IL PALCOSCENICO DI NUOVA OSTIA

Screenshot 2023-03-08 15.19.55Cosa abbia portato quel corpo ammazzato a giacere riverso sulla sporca sabbia di Nuova Ostia in una mattina di pioggia della Festa dei Morti, nessuno lo sa, nessuno lo dice evnessuno lo ricorda. Il corpo fu trovato il 2 novembre 1975 a neanche 500 metri in linea d’aria dalle palazzine Armellini di Nuova Ostia, terminate appena 6 anni prima, le così dette ‘case di ricotta’, edifici fatiscenti perché realizzati con le peggiori regole della speculazione edilizia di quei tempi.

La storia del degrado comincia nel 1968 quando 600 famiglie di senza tetto occuparono la gran parte di quelle palazzine, baraccati provenienti da ogni parte della città e guidati nella lotta dal SUNIA (Sindacato Unitario Nazionale Inquilini ed Assegnatari), dal PCI e dal PSI. In 4 anni occuparono tutto: appartamenti, negozi, scantinati. Un migliaio di sardi, interi gruppi di zingari, famiglie trapiantate dagli ex borghetti Tiburtino, Pietralata, Pigafetta, San Basilio, Trionfale e soprattutto Acquedotto Felice.

fotogrammi del film Ostia

fotogrammi del film Ostia

Palazzine che balzarono alla cronaca il 25 maggio 1969 sulle pagine de L’Unità: “Ostia: cemento sulla spiaggia. Centinaia di appartamenti a ridosso del mare e la speculazione continua – Un enorme cantiere che ha ingoiato chilometri di litorale, spiaggia, verde, spazi”. Proprio qui, su queste spiagge “ingoiate”, verrà girato nell’estate del 1969 il film Ostiauscito nelle sale a marzo del 1970, opera prima di Sergio Citti sotto l’egida di Pier Paolo Pasolini che ne curò il soggetto, la sceneggiatura e la «supervisione tecnica e artistica». Non è una mera suggestione che proprio nel luogo dove nel 1975 fu trovato il corpo del poeta si ambientino le scene più importanti del film, quasi che Pasolini avesse voluto crearsi un proprio palcoscenico. Nel degrado. Si chiude con le immagini del film, dopo 20 anni, la “gita ad Ostia” con cui si apriva Ragazzi di Vita nel 1955, continuato poi con il reportage della lunga estate del ’59 in cui Pasolini arrivò “a Ostia sotto un temporale blu come la morte” e dove “il grande formicaio” viene dipinto con parole crude e a tratti violente. Ostia che ritorna nei versi profetici di “Poesia in forma di rosa” sui “figli fascisti, avviati ai mondi della nuova Preistoria.

Non un caso neppure che tre anni dopo, nel 1972, il fallimento della lottizzazione di Armellini si trasformò in un grande affare (ancora oggi in essere, dopo 50 anni) grazie all’intervento del Comune di Roma che prese in locazione quelle migliaia di appartamenti («In condizioni pessime», scrissero i funzionari comunali) per la sistemazione alloggiativa dei senzatetto.

Fu così che avvenne la finale deportazione delle famiglie baraccate dell’Acquedotto Felice, una zona all’altro capo di Roma, conclusasi nel 1973. Un trasferimento doloroso, che si può cogliere dalle parole di don Roberto Sardelli.

Un’apparente conquista sociale veniva pagata a carissimo prezzo: «il tessuto umano che faticosamente avevamo organizzato si sfilacciava… abituati a dominare l’ambiente che avevamo costruito noi, giorno per giorno, ci trovavamo ora in un ambiente che ci dominava e che per di più ci si mostrava ostile». Arrivati a Nuova Ostia scoprirono di essere passati da una marginalità a un’altra. Tante cose erano rimaste le stesse: «ci trovammo senza le strade, senza le fogne, senza i servizi socio-sanitari, senza scuole, senza illuminazione pubblica».

Chi, politicamente, gestiva la zona, era la sezione del PCI di via Baffico, poi trasferitasi nella famigerata via Forni, che a Nuova Ostia rastrellava il 70% dei voti. Le migliaia di famiglie vennero suddivise nelle palazzine per provenienza regionale o per borgata di origine. Questa divisione non creò una amalgama, ma consolidò la separazione fatta di vere e proprie sparatorie da un palazzo all’altro. Una piccola città violenta nel cuore di Ostia, il quartiere che mai si è sentito parte di Roma.

A Nuova Ostia i bambini giocano in mezzo ai rifiuti, col liquame che fuoriesce dalle fosse biologiche quando c’è alta marea. Casi di tifo e di epatite virale. Un campo sportivo viene realizzato con l’occupazione di una zona destinata a verde pubblico attrezzato. I centri ricreativi e associativi sono limitati alla sezione del PCI e alla parrocchia, ricavata nei vani di un grosso negozio. Disoccupazione con percentuali bulgare. La gente si inventa i mestieri. In questo quadro di abbandono si propaga la degenerazione sociale: droga, prostituzione minorile, scippo organizzato, racket dei negozi. Le cronache di 50 anni fa non sono poi molto diverse da quelle di oggi: “delinquenza che tende a dividere la popolazione in gruppi, rivali, in piccole «mafie» impegnate, anche con la violenza e la sopraffazione, a risolvere il problema del pane. C’è quella dolorosa piaga che verrà definita «guerra tra poveri»”.

Un fatto di cronaca su tutti. In via delle Corazzate, il 18 gennaio 1975, Walter Bentini, 29 anni, muore dilaniato per l’esplosione di una bomba che stava cercando di collocare sotto l’auto di un rivale occupato nel settore del racket e delle bische clandestine.

NUOVA OSTIA E L’INTERVENTO DI PASOLINI

Racconta Giorgio Jorio (artista, padre del centro ‘Affabulazione’ di piazza Marco Vipsanio Agrippa, a Nuova Ostia) in un’intervista del 2015, 5 anni prima della sua scomparsaIl degrado culturale, etico e sociale era veramente preoccupante. Con tutti i compagni ci riunivamo per capire come si potesse fare. Veniva alle riunioni anche Don Sardelli, che con la sua esperienza nelle borgate si inventò la soluzione. “Chiamiamo Pasolini, che è un grande artista, scrittore illuminato che sa vedere le cose e sa indicare le soluzioni a problemi come questi”. Lo chiamo riferendogli il problema. In quell’epoca era impegnato a girare in Africa il film “Il fiore delle mille e una notte”. Ordinatissimo nella sua agenda, che si curava da solo, trovò gli spazi per venire e fissò un calendario di parecchi giorni. Nell’ottobre del 1974 cominciò a girare per ascoltare e capire quale fosse il problema e andò avanti fino a marzo del 1975: viaggio che io seguii, fatto di interviste con il suo metodo maieutico che conosciamo bene, di tirar fuori dal popolo quello che aveva dentro per scoprire quale fosse la sua necessità e dare una risposta e delle soluzioni. A Nuova Ostia esistevano dei luoghi proibiti a tutti, anche ai comunisti. Erano i luoghi della piccola malavita che si stava organizzando: Pier Paolo fu accolto anche lì e parlò e fece parlare i piccoli scippatori, i truffatori, gli iniziali strozzini. Dopodiché si fece un’assemblea pubblica dove lui tirò le conclusioni di questo viaggio. Egli disse ai comunisti ma anche al prete della chiesetta nei garage occupati: “Avete fatto un lavoro bellissimo perché qui non c’era nulla, siete riusciti ad avere i marciapiedi, l’asfalto, la scuola Guttuso, avete portato qui la seconda biblioteca comunale a via Forni, avete risposto ai beni primari, anche se manca ancora un punto di riferimento sanitario. Ma quello che manca sono dei luoghi di incontro, di cultura e di socialità”. Qualcuno di noi pensò ai centri sociali ma lui rispose che quel tipo di aggregazione aveva finito la sua funzione salvifica e storica, perché erano diventate delle isole felici di una certa parte del pensiero e della cittadinanza, ma parlandosi esclusivamente tra loro non servivano più a niente. Dovevano essere dei luoghi aperti alla città e a tutti, dei luoghi non diretti verticalmente ma autodiretti e autorganizzati. Disegnò quello che diventò 17 anni dopo il centro socio culturale di Piazza Agrippa, il cui statuto e i principi fondativi furono fatti sulla relazione di Pasolini, che io e altri compagni avevamo appuntato durante l’assemblea”.

LA MORTE DI PASOLINI A NUOVA OSTIA

pasolini e testimoniIn questo ambiente di degrado e violenza, lo stesso denunciato da Pasolini dopo il delitto del Circeo, dopo le polemiche con Calvino, dopo l’isolamento dal PCI, dopo lo scomodo interessamento del poeta che voleva portare cultura dove interessavano invece i voti e dove le mafie già proliferavano, dove Pasolini aveva già visto il suo palcoscenico finale, il racconto di Giorgio Jorio è emblematico: “Erano le 6.30 del mattino ed eravamo in sezione a preparare la diffusione straordinaria di quel giorno. Da sopra la sezione, Bellini mi chiamò urlando: “Hanno ammazzato il tuo amico, quello scrittore, quel frocio! Sta all’Idroscalo”. Io e Grottola ci muovemmo immediatamente: avevano già messo una recinzione molto, troppo ampia e non si vedeva nulla. Lui conosceva bene la zona e quindi riuscimmo, passando dietro le case dei pescatori, ad arrivare dove c’era il corpo, ancora scoperto. Eravamo a 6/7 metri da lui e purtroppo lo vidi: fu uno spettacolo orribile. Osservai anche le condizioni del campo in cui era stata assassinato: non era difficile capire che li c’era stato un branco di persone che l’avevano attaccato, inseguito e bastonato. Dissi questa cose anche in tv ma nessuno mi ha mai chiamato per fare una testimonianza”.

Pasolini era un frocio e doveva morire nel degrado, vittima della violenza delle periferie che il PCI, che lo aveva rinnegato, difendeva in contrasto alla borghesia di destra. Pasolini è morto come le ragazze del Circeo ma in una Nuova Ostia, comunista nelle urne, violenta nella realtà.
Non solo non venne sentito Giorgio Iorio, ma nemmeno i ragazzi ritratti nella famosa foto apparsa su tutti i quotidiani. Questo fu il luogo del delitto. Nessuno lo ha mai narrato.


RIFERIMENTI

Pasolini 1922 – 2022, un mistero italiano” di Lucia Visca (Ed. All Around)

Dalla parte degli ultimi. Una scuola popolare tra le baracche di Roma” di Roberto Sardelli, Massimiliano Fiorucci (Ed. Donzelli)

archivio L’Unità

https://www.lamiaostia.com/intervista_jorio/

http://schiavoneandrea.blogspot.com/2017/11/nuova-ostia-via-forni-la-ex-sede-del-pd.html

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