Ampliamento del Porto di Ostia: il ‘pasticcio’ di Di Cosimo.

Ieri, 16 maggio, si è approvato in aula Giulio Cesare l’ampliamento del Porto di Roma, “con parere favorevole, ma condizionato” da parte del PD. Mancava però la valutazione del carico urbanistico che l’opera avrà sul settore di Ostia Ponente e sull’Idroscalo. Un errore grossolano per chi, come l’Assessore all’Urbanistica, Marco Corsini, e il presidente della Commissione Urbanistica, Marco Di Cosimo, vanta competenza in materia. In tre anni sono insipientemente intervenuti sulle scelte per Roma generando vantaggi solo per i privati, ma non per la cittadinanza. L’ampliamento del Porto turistico di Roma è l’ennesima prova. Tralasciando Corsini, forse troppo preso a frequentare altre ‘aule’ e dunque poco attento ai lavori della Giulio Cesare, Di Cosimo, che “si sente più bravo dell’assessore e non fa niente per nasconderlo”, ha cercato di ‘vendere’ il progetto spacciandone i benèfici effetti sull’occupazione e sul rilancio del settore nautico, dimenticando però il tema del carico urbanistico. Infatti, non sono previste nuove linee di trasporto pubblico, non è incluso nel progetto un piano della viabilità privata, addirittura i parcheggi relativi ai posti barca sono stati previsti sul molo foraneo, perché non erano stati contemplati proprio dalla sua Commissione. Dulcis in fundo, Di Cosimo ha presentato un emendamento (il nr. 1) in cui chiedeva di aggiungere al punto 3) della delibera in votazione la frase ‘non sostanziali’ dopo la parola ‘modifiche’. Si tratta cioè della possibilità di “consentire l’introduzione di modifiche e integrazioni nel corso dell’iter di formazione dell’Accordo di Programma” che sarà necessario stipulare con la Regione Lazio. Evidentemente Di Cosimo non conosce bene le leggi urbanistiche, perché simile precisazione non serve a nulla se non a far sì che quanto verrà trattato a porte chiuse in sede di Conferenza dei Servizi non venga più ridiscusso in Assemblea Capitolina. Di Cosimo si è poi innervosito quando il PD, con il proprio ordine del giorno nr.11, ha chiesto di inserire i lavori della scogliera a mare a difesa dell’abitato dell’Idroscalo, già appaltati dalla Regione Lazio, “come condizione essenziale prima dei lavori di ampliamento del Porto”. Di Cosimo ha ottenuto di far sostituire la frase ‘prima di’ con ‘per’. Peccato, per lui, che non ne avesse compreso il valore urbanistico, perché l’ordine del giorno contemplava anche gli impegni non mantenuti da Alemanno relativamente alla realizzazione della difesa lato fiume, e quelli del Porto, cioè la realizzazione su tutta via dell’Idroscalo delle opere per lo smaltimento delle acque piovane.
Insomma, Di Cosimo ‘pasticcia’ a tal punto che ieri è riuscito persino a sconfessare Alemanno.

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Cosa lega il minisindaco G. Vizzani al Porto di Roma e all’Idroscalo di Ostia ?

L’ampliamento del Porto di Roma porterà alla delocalizzazione dell’abitato dell’Idroscalo di Ostia. Giacomo Vizzani, oggi presidente del XIII Municipio, difende da sempre la tesi di demolire tutto l’Idroscalo e di ricostruirlo solo in parte, secondo un progetto che risale al 2000. Nell’aprile del 2007 addirittura si rallegrò sulla stampa che il comma 14 dell’articolo 16 della Finanziaria 2007 (disposizioni in materia di demanio marittimo e di altri beni pubblici), fosse stato stralciato: “Per fortuna quel progetto di alienazione della foce del Tevere non si è fatto”. Se fosse invece passato come era scritto, l’Idroscalo sarebbe stato incluso nella lista del patrimonio disponibile del Comune di Roma, che avrebbe poi potuto vendere ai singoli occupanti e concessionari i lotti dove erano state realizzate le loro case (“opere durature, non di facile sgombero”). Questo però avrebbe contrastato con il progetto edilizio del Consorzio Nuovo Idroscalo, costituitosi nel 1989, chiamato ‘Cala di Tiberio’, un centinaio di abitazioni unifamiliari a 2 piani, ciascuno di 70 mq. Vizzani, dal 1998, ha svolto consulenza amministrativa a favore del Consorzio e nel 2000 l’allora senatore Ludovico Pace, oggi Assessore alle Politiche Sociali del XIII Municipio, presentò un’interrogazione per sanare la situazione del Consorzio verso il Demanio. Sulla base di quel progetto, in data 23 luglio 2001, il Presidente del Consorzio Nuovo Idroscalo e il Presidente della società A.T.I. SpA, concessionaria demaniale dell’area portuale, sottoscrissero una scrittura privata in cui si conveniva l’impegno, da parte del Consorzio, a fornire la massima collaborazione per consentire lo sgombero dell’area dell’Idroscalo di Ostia non comprendente le abitazioni degli appartenenti al Consorzio in cambio di un comune progetto di ristrutturazione dell’area. Per completare il disegno, il 30 novembre del 2002 fu costituita la Società Cooperativa Edilizia Nuovo Idroscalo a r.l., che ha nella sua ragione sociale anche la costruzione di abitazioni di Edilizia Popolare ed Economica. Oggi è tutto fermo ma gli attori sono sempre gli stessi. Attendiamo dal 29 dicembre 2010, data dell’assemblea partecipativa sul progetto dell’ampliamento del Porto di Roma, che qualcuno faccia chiarezza su quello che si configura un conflitto di interessi.

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L’ampliamento del Porto Turistico di Ostia e l’irresponsabilità della classe politica tutta


Il Porto di Ostia è in area a rischio esondazione, ma da giovedì in poi ogni seduta dell’Assemblea Capitolina sarà buona per votarne l’ampliamento: altri 611 posti barca, 656 posti auto e un molo di 2,5 km che ostacolerà, alla foce, il normale deflusso a mare del Tevere.
Tutto lo schieramento politico vuole l’ampliamento, anche le forze ambientaliste, che avranno in gestione le aree di interesse naturale dietro il porto. Così come il PD XIII visto che oggi firma un documento per dichiararsi favorevole al nuovo progetto, malgrado abbia votato contro in aula municipale, con l’astensione di due popolari. In questa partita gioca un ruolo strategico l’UDC, che ha come proprio coordinatore municipale, l’ex Assessore ai LL.PP del PD XIII, nonché direttore tecnico dei lavori del porto.
E i cittadini ? Il porto non ha mai recato realmente dei vantaggi alla comunità dal 2001, anno della sua costruzione, soprattutto agli abitanti dell’Idroscalo che vivono alle sue spalle. Infatti l’Autorità di Bacino del fiume Tevere (ABT, prot. n.371/C del 7 novembre 2009) ha chiesto di verificare se l’ampliamento del Porto peggiori il livello di criticità cui sono sottoposte le abitazioni dell’Idroscalo. In caso affermativo, sempre l’ABT, ha richiesto di assumere “procedure delocalizzative della stessa zona complessiva dell’Idroscalo di Ostia”.
Alemanno ha recentemente dichiarato che nei 133 obiettivi di fine mandato, è stato fissato entro il 2012 “la demolizione degli insediamenti abusivi” dell’Idroscalo e la cantierizzazione dell’ampliamento del Porto turistico di Ostia. Su queste dichiarazioni il silenzio di tutta l’opposizione, che si dichiara favorevole non solo al Porto ma anche al Parco dell’Idroscalo e agli alberghi che lì sorgeranno dopo le demolizioni. Dove andranno i residenti non si sa, forse perché considerato un mero dettaglio, anche da parte di partiti che in questi giorni mettono manifesti su iniziative “Contro i tagli di Alemanno. Le buone politiche sociali per Roma”.
Deduciamo quindi che nessuno abbia letto quanto scritto nella relazione R10 “Analisi di fattibilità idraulica” inclusa nel progetto di ampliamento del Porto, che garantirebbe la salvezza dell’Idroscalo se il porto, l’ABT e il Comune facessero le opere previste di difesa idraulica, in cantiere da anni, piuttosto che pensare a nuovi posti barca per un investimento di 80 milioni di euro.

Infatti il rischio idraulico dell’area dell’Idroscalo si presenta se, e solo se, all’arrivo della piena di riferimento del Tevere (quella devastante, stimata ogni 200 anni) sia già stato realizzato il manufatto ripartitore di Capo due Rami, punto in cui il Tevere si biforca nel Canale di Fiumicino e nel ramo di Fiumara Grande, alla cui foce sorge il Porto e l’Idroscalo. Il ripartitore (progetto TE19) è in pratica un sistema di paratoie sommerso che si alzerebbe, all’arrivo della piena, sbarrando il Canale di Fiumicino e deviando tutta l’acqua del Tevere sul ramo di Fiumara Grande (fino a 500 mc/sec). Il progetto è fermo nei cassetti dal 2003, il costo previsto a quel tempo era di 25 milioni di euro e serviva per mettere in sicurezza idraulica l’Isola Sacra e Fiumicino, ma non Ostia che in caso di piena si allagherebbe fino alla stazione Lido Centro, perché manca, dal 2001, il completamento dell’argine del Tevere sulla sponda sinistra. Quindi come si fa ad autorizzare l’ampliamento del Porto e a chiedere di ‘delocalizzare’ l’Idroscalo se la piena, il ripartitore e l’argine in sponda sinistra non ci sono? Con la situazione attuale e peggio ancora con l’ampliamento, se arrivasse la piena, quella devastante, non si allagherebbe l’Idroscalo ma mezza Ostia e tutta Fiumicino, dove il fiume esonderebbe in maniera naturale.

Non solo, ma tutti sanno che l’attuale Porto di Ostia è in area a rischio esondazione, seppure la Regione Lazio (ARDIS, prot.9346 del 17.01.2006) e l’ABT (prot.899/E del 22.03.2006) abbiano rilasciato il nulla osta idraulico. Basta percorrere Via dell’Idroscalo verso la foce e notare i varchi esistenti nel terrapieno sul lato sinistro della strada, in area gestita dalla LIPU. Quei varchi servono perché se esondasse il Tevere, tutta l’area della LIPU deve diventare un’enorme vasca di contenimento, salvando in realtà solo alcune zone dell Porto. Nel caso invece della piena di riferimento i danni sarebbero maggiori e non basterebbero questi varchi, tanto che il muro in cemento armato che costeggia il porto si dovrebbe rialzare in alcuni punti fino a 4,60 metri e la restante parte a 3,50 metri, lavori che non sono mai stati eseguiti. Infine, con l’ampliamento del Porto e in assenza di un adeguato argine in zona Tor San Michele, neppure il rialzamento del muro, alle quote sopra riportate, risolverebbe il problema.

In conclusione, il rischio idraulico è solo probabile e comunque nessun intervento viene fatto per mettere in sicurezza Ostia, tantomeno l’Idroscalo. L’unica opera nuova che viene prevista da progetto, e che dovrà essere autorizzata dall’ABT, è quella di recapito a mare (come indicato nello schema) che avrebbe un significato se e solo se fossero realizzate tutte le altre opere ad oggi ancora non eseguite.

Dunque, mentre l’ABT, ente competente in materia, sostiene l’ipotesi di un rischio idraulico, la classe politica tutta non porta a compimento le opere previste dal 2001, ma autorizzerà, in zona a rischio, un ampliamento del Porto che aumenta la criticità del rischio, senza neppure tenere conto di chi vi abita e quali politiche sociali si devono prendere prima degli affari.

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“Decreto Sviluppo”: gli interessi dei balneari e la propaganda di Governo

La regolamentazione delle concessioni balneari è da oggi ancor più confusa grazie al decreto legge che il Consiglio dei Ministri ha varato alle 11:53, chiamato “Decreto Sviluppo”. Il terzo punto prevede l’istituzione nei territori costieri dei distretti turistico-alberghieri per rilanciare l’offerta turistica nazionale mediante lo strumento urbanistico del ‘diritto di superficie’. Ricordiamo che gli stabilimenti balneari sono diventati dal 2001 ‘imprese turistiche’ (Legge nr.135 del 29 marzo 2001, art.7, c.1) e che la Comunità Europea ha avviato il 29 gennaio 2009 la Procedura d’Infrazione n.2008/4908 contro l’Italia, chiedendo che si facessero gare pubbliche per il rilascio delle concessioni.
Il decreto di oggi è in realtà una chiara propaganda del Governo Berlusconi perché viene annunciato a una settimana dalle elezioni amministrative e il giorno prima dell’assemblea di Confindustria. Non solo, ma chi tra le associazioni dei balneari sta sbandierando maggiormente l’efficacia del decreto è proprio l’Assobalneari, che riunisce gli imprenditori del settore aderenti a Federturismo Confindustria e che il 27 gennaio 2010 incontrò il Ministro del Turismo, Michela Brambilla, chiedendo o concessioni di 50 anni o il diritto di superficie di 99 anni per le strutture già esistenti.

Quello che fa più specie è l’approssimazione con cui l’argomento è stato trattato dagli organi d’informazione e il fatto che nessuno dei politici sia entrato nel merito del contenuto. Premettiamo inoltre che un decreto legge (deliberato dal Consiglio dei Ministri e poi emanato dal Presidente della Repubblica) deve essere presentato alle Camere e deve essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni, altrimenti perde efficacia sin dall’inizio. Vediamo dunque nel dettaglio l’argomento.

CONCESSIONI DEMANIALI MARITTIME E DIRITTO DI SUPERFICIE

A livello di demanio marittimo (le spiagge, nel nostro caso), è la Regione che svolge le funzioni di programmazione ed indirizzo per le finalità turistico-ricreative, compresi gli stabilimenti balneari. Spetta invece ai Comuni il rilascio e il rinnovo delle concessioni demaniali marittime, le autorizzazioni sull’arenile, il nullaosta per l’esercizio del commercio sulle aree demaniali marittime e la pulizia degli arenili.
Come già detto, le concessioni demaniali marittime per scopi turistici e ricreativi sono disciplinate dal Codice della Navigazione. In particolare fino al 2009 l’articolo 37 costituiva il caposaldo normativo del cosiddetto “diritto di insistenza”: nel caso di più domande di concessione, era data preferenza alle precedenti concessioni, già rilasciate, in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze. Su queste basi, la Comunità Europea ha avviato il 29 gennaio 2009 la Procedura d’Infrazione n. 2008/4908 contro l’Italia, chiedendo che le concessioni venissero messe a bando. L’Italia ha dovuto dunque abrogare il “diritto di insistenza” con Legge nr.25 del 26 febbraio 2010 (art.1, c.18) prorogando la durata dei titoli in essere fino al 31 dicembre 2015. Quindi dal 1° gennaio 2016, si va in gara.

C’è da aggiungere che fino ad oggi le concessioni sono state date con durata superiore ai 4 anni perché altrimenti potevano essere revocabili in tutto o in parte a giudizio discrezionale dell’amministrazione marittima (art.42 Cod.Nav.). Quelle invece superiori a 4 anni, o che comunque presentano impianti di difficile sgombero sono revocabili per specifici motivi inerenti al pubblico uso del mare o per altre ragioni di pubblico interesse, a giudizio discrezionale dell’amministrazione marittima. E’ grazie a questi privilegi che sono sorte, al posto di semplici impianti balneari, vere e proprie cittadelle turistiche che con la scusa di ombrelloni, spogliatoi, cabine e lettini, hanno realizzato piscine, palestre, bar, ristoranti e negozi ottenendo concessioni tra i 20 e i 25 anni, a difesa di investimenti che con il termine ‘balneare’ poco avevano a che fare.

Ecco perché dal 2016 nascerà il vero problema, rinchiuso nell’art.49 del Cod.Nav.: “salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato”. In altre parole, chi fino ad oggi si è costruito la propria cittadella turistica potrebbe perderla nel 2016 in caso di mancato rinnovo della concessione.

Cosa si propone allora il “Decreto Sviluppo”? L’obiettivo è di consentire che le edificazioni già esistenti lungo le coste (comprese le cittadelle turistiche degli stabilimenti balneari) possano essere tutelate applicando per esse il ‘diritto di superficie’, per 90 anni e prevedendo un pagamento annuo determinato dall’Agenzia del Territorio sulla base dei valori di mercato. Ma esiste l’incongruenza con il Codice della Navigazione e con la situazione giuridica della concessione balneare cui gli stessi manufatti o pertinenze demaniali sono soggetti.

Infatti il diritto di superficie, disciplinato dall’artt.952 ss. del Codice Civile, consiste nell’edificare e mantenere una costruzione al di sopra (o al di sotto) di un fondo di proprietà altrui. Si può alienare la proprietà della costruzione già esistente separatamente dalla proprietà del fondo, vendendo il solo diritto di superficie. Se poi la costituzione del diritto è stata fatta a tempo determinato (tipo, a 90 anni), allo scadere del termine il diritto di superficie si estingue e il proprietario del suolo diventa proprietario della costruzione.
Le due situazioni giuridiche (concessionario e titolare di un diritto di superficie) non sono allora assimilabili, perché significherebbe far decadere ogni potere di revoca, soprattutto quello motivato in mancanza del ‘pubblico uso del mare o per altre ragioni di pubblico interesse’. Non basta che il decreto abbia previsto il ‘libero accesso al mare’, perché il ‘pubblico uso del mare’ prevede anche la visibilità del mare e dell’orizzonte marino, oltre a quella delle dune e delle spiagge.

Come potrebbero conciliarsi le due situazioni di un titolare di un diritto di superficie che ostruisce con le sue strutture la visibilità del mare su suolo demaniale, con il fatto che non esiste più alcuna possibilità di revoca del suo diritto acquisito in funzione del Codice della Navigazione? Come si eserciterebbero i poteri di controllo sulle aree demaniali marittime già edificate? Far passare il decreto significherebbe ‘sanare’ gli abusi esistenti che fino ad oggi non sono mai stati perseguiti (basta prendere come esempio il lungomare di Ostia). O è un tentativo per realizzare un modello di riferimento per operare analogamente lungo fiumi, torrenti e laghi, annullando ogni distinzione nella gestione delle diverse tipologie di suolo pubblico?

CONCLUSIONI

Una certezza rimane. La categoria dei balneari (non tutti, ma la gran parte) ha usufruito per troppo tempo di enormi privilegi, messi in discussione nel 2009 dalla Comunità Europea. Ora cerca di riunirsi in distretti turistico-alberghieri “a burocrazia zero” per mantenere sgravi fiscali e semplificazioni normative. Se la delimitazione dei distretti sarà effettuata dall`Agenzia del Demanio, quello che si prospetta sarà non tanto la cementificazione delle coste che già esiste, ma vere aree non controllate dallo Stato (porti e pontili compresi).
Non dimentichiamo che nello stesso tempo è in corso la declassificazione delle aree del demanio marittimo per invasivi progetti urbanistici, incluse tutte le superfici con i manufatti sopra esistenti, non più destinate a stabilimento balneare bensì ad attività turistiche, produttive, ricreative e ricettive. Queste saranno oggetto di diretta alienazione dal momento che hanno già di fatto perso, come indicato sopra, i caratteri della demanialità.
Il problema è che molte di quelle strutture, quelle per cui oggi si rivendica il ‘diritto di superficie’, sorgono su demanio e sono pertinenze demaniali, infrangendo i requisiti concessori. Andrebbero abbattute, non sanate. La soluzione? Invece di rincorrere la propaganda di Berlusconi e Tremonti, sarebbe opportuno applicare le leggi esistenti e fare un po’ di pulizia. Anche dalle infiltrazioni mafiose che in questo giochino del ‘diritto di superficie’ guadagnerebbero più di tutti.

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Cosa c’è nella delibera sul decentramento del XIII Municipio

Venerdì alle 21, nella trasmissione Foro Romano con Andrea Bozzi su Romauno TV, è andato in onda uno spettacolo indecente. Presenti il presidente del XIII Municipio Giacomo Vizzani, il delegato allo Sport per il Comune di Roma Alessandro Cochi, il consigliere comunale Dario Nanni (PD) e il consigliere municipale Antonio Caliendo (PD). Focus sulla recente delibera del Regolamento Speciale del Decentramento Amministrativo. In realtà gli spettatori hanno assistito ad un dibattito in cui il minisindaco strillava espressioni volgari e gergali, senza rispondere alle domande in modo chiaro e pertinente.
Dal 24 novembre 2009 Roma2013 ha dato ampio spazio allo straziante iter di questa delibera, primo punto della campagna elettorale di Vizzani e di Alemanno. Iniziato con le lacrime di un minisindaco che sbandierava la “giornata epocale” del popolo di Roma, passato attraverso le minacce di dimissioni sempre ritirate, fino all’ultimo episodio dei pianisti in Campidoglio (LINK).

Dal 19 Aprile 2011, data di approvazione della delibera, si sono susseguiti comunicati stampa e qualche assemblea della forze politiche di maggioranza ed opposizione, senza che nessuno abbia mai spiegato cosa ci sia realmente in questa delibera. Addirittura, autorevoli quotidiani nazionali e stampa locale, hanno riportato informazioni non vere. La confusione regna sovrana.

Proviamo quindi a fare un po’ di chiarezza e di informazione. Vediamo in cosa consiste questo “evento (per niente) epocale”:

Il Regolamento Speciale del Decentramento Amministrativo del XIII Municipio si compone di 18 articoli, l’ultimo dei quali (Norma Transitoria) recita testualmente: “Fino all’assegnazione delle risorse, umane, finanziarie e strumentali, necessarie alle competenze attribuite con il presente Regolamento, gli uffici centrali assicurano l’attuazione delle deliberazioni adottate dagli organi municipali di cui all’articolo 3 del presente regolamento“. L’articolo 3 si riferisce alla Commissione di consultazione Comune-Municipio le cui modalità di funzionamento ancora non sono state stabilite. Mancando dunque tale Commissione, il decentramento di fatto non c’è.
Inoltre, anche quando la Commissione sarà costituita, essa si interesserà dei servizi sociali, della scuola, del trasporto pubblico, dell’urbanistica e dei lavori pubblici fornendo però solo un parere al Comune che eserciterà invece “le funzioni di indirizzo e coordinamento“.

Questo è scritto in modo molto chiaro nel Regolamento: “in caso di esercizio difforme dagli atti di indirizzo e coordinamento della Giunta Comunale, il Sindaco assegna al Municipio un termine perentorio per provvedere o adeguarsi agli atti“. In caso di diniego, il Comune interverrà con poteri sostitutivi. Quindi non c’è alcuna autonomia decisionale del Municipio XIII.

Cosa ancora più importante, l’ammontare delle risorse finanziarie necessarie per amministrare il territorio non saranno decise dal Municipio, che si limiterà solo a segnalarne una previsione al Comune, il quale assegnerà i fondi in funzione della disponibilità del proprio bilancio. Anche per le aree verdi (art.4), rimane tutto come prima (cioè niente soldi), tant’è che in Campidoglio, nella ‘notte dei pianisti’, l’Assessore al Verde del XIII Municipio, Giancarlo Innocenzi, ha pubblicamente e platealmente mostrato tutta il suo disappunto.

Qualunque amministratore sa che senza reali poteri di “indirizzo e coordinamento” e senza fondi certi, l’autonomia amministrativa è di fatto inesistente. Nella lunghissima seduta dell’Assemblea Capitolina iniziata il 18 aprile 2011 e conclusasi quasi all’alba del 19, la proposta del Regolamento presentata in aula è stata ‘corretta’ in alcune sue parti perché non era più rimandabile la ‘marchetta elettorale’, trasformando però il Regolamento in un semplice spostamento degli uffici da Roma ad Ostia, senza alcuna innovazione e vantaggio del territorio.

A differenza di quanto riportato sulla stampa nazionale, per prima cosa è stata tolta al Municipio la competenza urbanistica in materia di “rilascio dei permessi di costruire, anche in sanatoria, e delle denuncie di inizio attività per gli interventi edilizi di consistenza fino a 6.000 metri cubi” (art.9, Edilizia Privata). In caso contrario, sarebbe stata una manna dal cielo per l’ufficio tecnico del Municipio e per una certa politica locale dedita ai favori.
Per quanto riguarda i Servizi Sociali (art.5) e quelli Scolastici (art.12) i poteri di autonomia del Municipio sono stati ‘calmierati’ con l’aggiunta della frase “sono attribuiti al Municipio nel rispetto del principio di uniformità di trattamento dei cittadini definito nei criteri e standard dal regolamento del Comune di Roma“. Come dire: se non si fa negli altri Municipi di Roma, non si fa neanche ad Ostia.
Invece per lo Sport, la Cultura e il Tempo Libero (art.6), tutto ciò che concerne l’organizzazione, la programmazione e la realizzazione, deve sempre attenersi al Regolamento Comunale, non aggiungendo nulla alla specificità del territorio (poteva essere l’occasione per il rilancio degli sport nautici ed acquatici ad esempio). Le uniche novità in quest’ambito sono due: la costituzione di un apposito Comitato per la gestione degli impianti e di un apposito ufficio per il coordinamento delle attività turistiche.
Anche sulle Concessioni di Suolo pubblico (art.7) è stato aggiunto che tutto sarà “subordinato all’approvazione di apposito provvedimento da parte dell’Assemblea Capitolina“. Quindi, decide ancora una volta il Comune, così come per le Attività Produttive (art. 10) dove i limiti e le condizioni delle competenze del Municipio restano vincolati a quanto già previsto nel regolamento generale del decentramento amministrativo (valido già per tutti i municipi), con l’eccezione che, quando delegato dal Sindaco, il Presidente del Municipio può coordinare gli orari di apertura degli esercizi commerciali (art.16).

Se poi si analizzano gli articoli ‘di prossimità al territorio’ inerenti il suo sviluppo, si scopre che…

Per quanto concerne i Piani Territoriali ed Urbanistici (art.8) il Municipio si limiterà a dare il proprio parere sulle politiche da perseguire e indicherà le opere di urbanizzazione necessarie, ma senza alcun potere decisionale, mentre sui beni del Demanio, del Patrimonio e circa le Locazioni Passive (art.11) viene scaricata al Municipio la competenza “in materia di gestione tecnico-amministrativa ed economica nonché la manutenzione ordinaria“, anche qui senza alcun fondo speciale appositamente dedicato. Analogamente accade per i Lavori Pubblici (art.14) e per le Forniture di Beni e Servizi (art.15): competenza totale in materia di appalti, ma i soldi? Come si potrà bandire un appalto senza la certezza dei fondi? Tutto rimane al buon cuore del Comune di Roma anche se il Municipio può attivarsi per stringere convenzioni di Sponsorizzazione (art.17). Immaginiamo che si utilizzerà a piene mani lo strumento del project financing, che nella vulgata propagandistica della politica attuale è la gallina dalle uova d’oro; peccato che in Italia sia quasi sempre un project financing “sporco”, finti filantropi che ottengono il massimo vantaggio scaricando i rischi di impresa alla collettività.

Per ultime, le competenze specifiche sul Litorale (art.13) che sono nell’ordine: istruttoria, elaborazione e attuazione dei progetti di valorizzazione del litorale, manutenzione del Canale dei Pescatori, attuazione del Piano di Utilizzazione degli Arenili (che per esempio dovrebbe garantire la conservazione del cinquanta per cento delle visuali libere al mare), funzioni amministrative sul demanio marittimo (escluse le competenze statali, ma compresi i poteri di vigilanza e di polizia amministrativa) ed infine il rilascio dell’autorizzazione Comunale necessaria per l’apertura di uno stabilimento balneare, che non è la concessione demaniale, ma la semplice licenza rilasciata secondo i requisiti morali previsti dalle norme di Pubblica Sicurezza che il gestore deve avere.

Tutto qui, nulla che interessi i cittadini, poco a vantaggio degli imprenditori, molto a favore dei ‘burattinai’ che dall’aula Giulio Cesare potranno meglio gestire gli ‘affari’ del Litorale lasciando che i loro referenti politici del XIII Municipio tessano per conto loro le necessarie trame, forniti di una stella di latta con sopra scritto: ‘decentratore comunale‘. Un nuovo mestiere.

Paula de Jesus

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Via Cristoforo Colombo: pubblicato il bando per il sottopasso di Malafede presso la tenuta di Castelporziano

Il bando di gara per la progettazione esecutiva e per l’esecuzione dei lavori del sottopasso alla via C.Colombo in corrispondenza di via di Malafede è in pubblicazione fino al 13 giugno, termine ultimo per la presentazione delle offerte. L’opera consiste in un sottopasso di 61 metri, 1.200 metri di variazione altimetrica della Colombo e una rotatoria di superficie per regolare il traffico di via di Malafede e dell’accesso alla tenuta presidenziale di Castelporziano, con relative rampe ciascuna di 250 metri. Un unico lotto di ben 9.367.812,03 euro i cui lavori dovranno durare massimo 450 giorni dall’approvazione del progetto esecutivo che a sua volta dovrà essere presentato dalla ditta aggiudicataria al Comune 60 giorni dopo il parere della Soprintendenza ai Beni Archeologici. L’importo è finanziato in parte con mutuo della Cassa Depositi e Prestiti, in parte con linea di credito e prevede una penale giornaliera sui ritardi di 2.700 euro. E’ il vecchio progetto C.2.1-06 facente parte degli interventi di cui all’OPCM 3543 del 26 settembre 2006 volti a fronteggiare l’emergenza determinatasi nel settore traffico e mobilità nel territorio di Roma. C’è da sistemare il Fosso del Fontanile realizzando un apposito sifone (820 mila euro), predisporre strade provvisorie di cantiere (390 mila euro) ed effettuare la bonifica degli ordigni bellici (129 mila euro). Ma a preoccupare di più è la questione dei sondaggi archeologici (208 mila euro): 180 giorni di scavi, con trincee profonde fino a 2 metri e solo dopo si potrà parlare del progetto esecutivo. Infatti nell’area esistono importanti presenze storico-archeologiche ben documentate ma mai scavate e francamente non si capisce perché si debba realizzare un’opera così invasiva, costosa e lunga da realizzare quando con un decimo di spesa e di tempo esistevano delle alternative più valide. Tra queste, quella proposta da LabUr che utilizza la viabilità già esistente e che verrà protocollata presso il Dipartimento Sviluppo Infrastrutture e Manutenzione Urbana. Abbiamo infatti la sensazione che questi lavori servano esclusivamente per la prossima campagna elettorale, visti i tempi indicati nel Capitolato Speciale e che il disagio che dovranno affrontare i cittadini sarà troppo alto.

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Decentramento del XIII Municipio: Alemanno prende in giro Vizzani 2 volte

Alle ore 3:48 del mattino del 19 aprile, in aula Giulio Cesare, era sufficiente vedere le facce dei presenti per capire come era andata a finire la votazione sul decentramento amministrativo per Ostia. In particolare, i rappresentanti del XIII Municipio. Vizzani, il Presidente, depresso. Olive, Assessore ai LL.PP., chiuso nel suo silenzio. Innocenzi, Assesore all’Ambiente, furibondo. Pallotta, Assessore all’Urbanistica, tranquillo e fedele ombra di Bordoni, presente in aula non solo come Assessore Comunale ma soprattutto come Delegato per il sindaco al Litorale. Dal 24 novembre 2009, dalla picaresca parata voluta da Alemanno, venuto ad Ostia per salvare Vizzani (sbugiardato sul Polo Natatorio) promettendo il decentramento, sono passati 511 giorni perché si votasse, in seconda convocazione, approvando la delibera con appena 25 consiglieri, molti dei quali esperti ‘pianisti’ d’aula. Cittadini in aula, nessuno. Stampa al seguito, nessuno. E’ questo l’evento epocale gridato da Alemanno ? Il contenuto della delibera è stato svuotato dall’opposizione e per Ostia non cambierà nulla, tanto che il quarto assessore di vizzani (Pace) neppure è venuto in aula, lui che è sempre stato sostenitore dell’autonomia di Ostia. Emblematico l’abbraccio di Alemanno a Vizzani, l’altro giorno, a cui ha rivolto la frase: “A presidè, hai visto? Adesso mi devi pagare una pizza!”. Vizzani, è stato preso in giro due volte da Alemanno, prima in campagna elettorale con promesse faraoniche, ora con l’idebolimento dei suoi poteri. Tutto è rimandato al Campidoglio, regolamenti e linee guida su tutte le più importanti materie di competenza municipale, compreso il verde, una volta fiore all’occhiello del parlamentino ostiense. Dopo tante promesse di farlo, adesso sarebbe veramente l’ora che Vizzani si dimettesse, facendola finita di prendere in giro a sua volta noi cittadini, per rifarsi delle prese in giro subite da Alemanno.

Paula de Jesus – Urbanista (dirigente PD)

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Ostia, Porto di Roma: la delibera sull’ampliamento va in discussione in Campidoglio senza il parere della Provincia


E’ di questi giorni la forte polemica di Esterino Montino, capogruppo del PD in Regione Lazio, nei confronti di Luciano Ciocchetti, Assessore Regionale all’Urbanistica, dopo che quest’ultimo ha espresso la volontà della Regione Lazio di riassumere le deleghe concesse alle Province in materia di pianificazione territoriale. Speriamo che le giuste critiche di Montino sollecitino anche il Presidente della Provincia, Nicola Zingaretti, ad intervenire sulla questione dell’ampliamento del Porto di Roma, visto che il progetto prevede, da parte del Comune, la sottoscrizione di un Accordo di Programma con la Regione Lazio e una variante parziale al Piano Regolatore Generale che non è stata ancora adottata. Infatti, il Comune di Roma sta portando in discussione in Assemblea Capitolina questo Accordo di Programma senza prima acquisire il parere della Provincia di Roma come dovuto per legge.
Ricordiamo che il Piano Territoriale Provinciale Generale (PTPG) è stato approvato dal Consiglio Provinciale in data 18 gennaio 2010 con Delibera n.1 e pubblicato sul supplemento ordinario n.45 al “Bollettino Ufficiale della Regione Lazio” n.9 del 6 marzo 2010. Da questa data i Piani Regolatori Generali e le loro Varianti, comprese quelle derivanti da Accordi di Programma, nonché gli strumenti urbanistici attuativi, devono seguire le modalità di formazione e approvazione previste dalla legge regionale 22 Dicembre 1999, n. 38, “Norme sul governo del territorio”. Tale legge ha riorganizzato la disciplina della pianificazione territoriale ed urbanistica con particolare riferimento alla tutela dell’integrità fisica e dell’identità culturale del territorio stesso, nonché al miglioramento qualitativo del sistema insediativo ed all’eliminazione di squilibri sociali, territoriali e di settore, in modo da garantire uno sviluppo sostenibile della Regione.
Ci aspettiamo dunque nei prossimi giorni una presa di posizione netta, in quanto inderogabile, da parte della Provincia di Roma, visto che il 5 novembre 2009 fu proprio Zingaretti che assieme all’allora Vicepresidente della Giunta regionale, Esterino Montino, avviò la definitiva approvazione del PTPG.

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Candidatura Olimpiadi Roma 2020: Ostia c’è, ma per Foschi (PD) no

Dopo la dichiarazione a favore della “Legge per gli stadi” (proposta n.2800 del 7 ottobre 2009), confutata dopo pochi giorni dall’On. Roberto Morassut, Enzo Foschi, consigliere PD Regione Lazio e Vicepresidente Commissione Sport, afferma che Ostia è rimasta fuori dalle Olimpiadi 2020. Falso. Sono rimasti fuori gli impianti natatori sorti per i Mondiali di Nuoto Roma ‘09, sia quelli privati, sotto processo in questi giorni per abusivismo, sia l’incompiuto Centro Federale sul lungomare, il famigerato Polo Natatorio di Ostia, su cui il PM, Anna Maria Cordova, ha aperto di recente un fascicolo. Forse Foschi non ha letto il Dossier Roma 2020 presentato dal Comune un mese fa per la candidatura ai XXXII Giochi Olimpici. Diversamente saprebbe che ad Ostia si svolgeranno, in caso di aggiudicazione, la Vela e il Nuoto in acque libere. Addirittura lo stadio Pasquale Giannatasio è stato scelto come sede di allenamento per il calcio, così come il Palafijlkam per lo Judo, mentre le spese di allestimento per il nuoto libero sono già state fissate in 400 mila euro.
E’ fuori luogo, in questa fase di avvio di processo, che Foschi parli di un riuso per le Olimpiadi di impianti come il Centro Federale di Ostia a nome del PD visto che, dopo la bufera dei Mondiali di Nuoto, organizzò una manifestazione in solitaria fuori dall’impianto di Ostia, nel gennaio 2010, in cui chiedeva l’apertura dell’impianto e prometteva ogni 15 giorni dei sit-in di protesta, mai fatti, nei tre impianti pubblici (Ostia, Valco San Paolo e Pietralata). Era il periodo della campagna elettorale per la Regione Lazio. Foschi dovrebbe invece preoccuparsi delle 2 piscine di Tivoli, nella frazione di Arci, inaugurate a luglio del 2009 e chiuse da sempre, costate 5 milioni di euro, di cui 3 della Regione Lazio, quando era già vicepresidente della Commissione Sport. Dopo anni di battaglie da parte di alcuni dirigenti del PD sugli abusi compiuti per i Mondiali di Nuoto Roma 09, sarebbe il caso che Foschi non si preoccupasse di coniugare a tutti i costi lo sport con gli “investimenti”, anche se agli Stati Generali, tenutisi a febbraio, l’associazione “Amici del Tevere”, di cui Foschi è presidente, è stata inserita esplicitamente nei documenti ufficiali nell’elenco dei “soggetti coinvolti tra le parti sociali”, laddove invece si citano genericamente albergatori, ristoratori, industriali e tour-operator.

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XIII Municipio, Nuova Ostia: PD e PdL tacciono su 1 milione di euro scomparsi

La riqualificazione urbana di via Baffigo e la scomparsa di 500 mila euro per via della Corazzata, a Nuova Ostia, per un totale di 1.223.000 euro, sono uno scandalo che coinvolge sia la maggioranza sia l’opposizione del XIII Municipio. La questione era già stata denunciata da LabUr 8 mesi fa, dopo il consiglio straordinario su Nuova Ostia chiesto dal PD XIII. Oggi si fa ancora più imbarazzante il silenzio di Paolo Orneli, relatore della mozione, nonché ex Presidente del XIII Municipio ed ex capogruppo del PD XIII. Se il progetto esecutivo per l’intervento su Via Baffigo e Via della Corazzata è stato approvato con delibera n.6 della Giunta Municipale, il 2 febbraio 2010, quindi più di un anno fa, dove sono finiti i soldi ? Ricordiamo che il finanziamento regionale complessivo era di 1.100.700 euro, mentre quello comunale era di 122.300 (il 10%) e che è già stato dato mandato al Dirigente dell’Ufficio Tecnico del XIII Municipio, Ing. Aldo Papalini, di impegnare le risorse nel bilancio 2010 sul centro di costo OMC dello stesso ufficio. Inaccettabile dunque il suo silenzio e di tutto il PD XIII, soprattutto di Marco Belmonte, presidente della Commissione Trasparenza e Garanzia del XIII Municipio. E’ forte il sospetto infatti che quei soldi siano stati deviati per altre opere stradali. Premesso che sarebbe stato compito del Porto di Ostia, 10 anni fa, come da accordo di programma, realizzare tutta la viabilità pubblica esterna retrostante il Porto da Via dell’Idroscalo e Via C. Avegno, nonché redarre gli studi di fattibilità sull’adeguamento e riorganizzazione della viabilità di accesso al porto, ci chiediamo che cosa aspetti il Municipio XIII a dare inizio ai lavori. Ma Belmonte e il Circolo PD di Nuova Ostia parlano dei problemi del ‘verde’ pubblico come un comune comitato di quartiere quando sotto i loro occhi scompare più di un milione di ‘verdi’ euro.

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