“Decreto Sviluppo”: gli interessi dei balneari e la propaganda di Governo

La regolamentazione delle concessioni balneari è da oggi ancor più confusa grazie al decreto legge che il Consiglio dei Ministri ha varato alle 11:53, chiamato “Decreto Sviluppo”. Il terzo punto prevede l’istituzione nei territori costieri dei distretti turistico-alberghieri per rilanciare l’offerta turistica nazionale mediante lo strumento urbanistico del ‘diritto di superficie’. Ricordiamo che gli stabilimenti balneari sono diventati dal 2001 ‘imprese turistiche’ (Legge nr.135 del 29 marzo 2001, art.7, c.1) e che la Comunità Europea ha avviato il 29 gennaio 2009 la Procedura d’Infrazione n.2008/4908 contro l’Italia, chiedendo che si facessero gare pubbliche per il rilascio delle concessioni.
Il decreto di oggi è in realtà una chiara propaganda del Governo Berlusconi perché viene annunciato a una settimana dalle elezioni amministrative e il giorno prima dell’assemblea di Confindustria. Non solo, ma chi tra le associazioni dei balneari sta sbandierando maggiormente l’efficacia del decreto è proprio l’Assobalneari, che riunisce gli imprenditori del settore aderenti a Federturismo Confindustria e che il 27 gennaio 2010 incontrò il Ministro del Turismo, Michela Brambilla, chiedendo o concessioni di 50 anni o il diritto di superficie di 99 anni per le strutture già esistenti.

Quello che fa più specie è l’approssimazione con cui l’argomento è stato trattato dagli organi d’informazione e il fatto che nessuno dei politici sia entrato nel merito del contenuto. Premettiamo inoltre che un decreto legge (deliberato dal Consiglio dei Ministri e poi emanato dal Presidente della Repubblica) deve essere presentato alle Camere e deve essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni, altrimenti perde efficacia sin dall’inizio. Vediamo dunque nel dettaglio l’argomento.

CONCESSIONI DEMANIALI MARITTIME E DIRITTO DI SUPERFICIE

A livello di demanio marittimo (le spiagge, nel nostro caso), è la Regione che svolge le funzioni di programmazione ed indirizzo per le finalità turistico-ricreative, compresi gli stabilimenti balneari. Spetta invece ai Comuni il rilascio e il rinnovo delle concessioni demaniali marittime, le autorizzazioni sull’arenile, il nullaosta per l’esercizio del commercio sulle aree demaniali marittime e la pulizia degli arenili.
Come già detto, le concessioni demaniali marittime per scopi turistici e ricreativi sono disciplinate dal Codice della Navigazione. In particolare fino al 2009 l’articolo 37 costituiva il caposaldo normativo del cosiddetto “diritto di insistenza”: nel caso di più domande di concessione, era data preferenza alle precedenti concessioni, già rilasciate, in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze. Su queste basi, la Comunità Europea ha avviato il 29 gennaio 2009 la Procedura d’Infrazione n. 2008/4908 contro l’Italia, chiedendo che le concessioni venissero messe a bando. L’Italia ha dovuto dunque abrogare il “diritto di insistenza” con Legge nr.25 del 26 febbraio 2010 (art.1, c.18) prorogando la durata dei titoli in essere fino al 31 dicembre 2015. Quindi dal 1° gennaio 2016, si va in gara.

C’è da aggiungere che fino ad oggi le concessioni sono state date con durata superiore ai 4 anni perché altrimenti potevano essere revocabili in tutto o in parte a giudizio discrezionale dell’amministrazione marittima (art.42 Cod.Nav.). Quelle invece superiori a 4 anni, o che comunque presentano impianti di difficile sgombero sono revocabili per specifici motivi inerenti al pubblico uso del mare o per altre ragioni di pubblico interesse, a giudizio discrezionale dell’amministrazione marittima. E’ grazie a questi privilegi che sono sorte, al posto di semplici impianti balneari, vere e proprie cittadelle turistiche che con la scusa di ombrelloni, spogliatoi, cabine e lettini, hanno realizzato piscine, palestre, bar, ristoranti e negozi ottenendo concessioni tra i 20 e i 25 anni, a difesa di investimenti che con il termine ‘balneare’ poco avevano a che fare.

Ecco perché dal 2016 nascerà il vero problema, rinchiuso nell’art.49 del Cod.Nav.: “salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato”. In altre parole, chi fino ad oggi si è costruito la propria cittadella turistica potrebbe perderla nel 2016 in caso di mancato rinnovo della concessione.

Cosa si propone allora il “Decreto Sviluppo”? L’obiettivo è di consentire che le edificazioni già esistenti lungo le coste (comprese le cittadelle turistiche degli stabilimenti balneari) possano essere tutelate applicando per esse il ‘diritto di superficie’, per 90 anni e prevedendo un pagamento annuo determinato dall’Agenzia del Territorio sulla base dei valori di mercato. Ma esiste l’incongruenza con il Codice della Navigazione e con la situazione giuridica della concessione balneare cui gli stessi manufatti o pertinenze demaniali sono soggetti.

Infatti il diritto di superficie, disciplinato dall’artt.952 ss. del Codice Civile, consiste nell’edificare e mantenere una costruzione al di sopra (o al di sotto) di un fondo di proprietà altrui. Si può alienare la proprietà della costruzione già esistente separatamente dalla proprietà del fondo, vendendo il solo diritto di superficie. Se poi la costituzione del diritto è stata fatta a tempo determinato (tipo, a 90 anni), allo scadere del termine il diritto di superficie si estingue e il proprietario del suolo diventa proprietario della costruzione.
Le due situazioni giuridiche (concessionario e titolare di un diritto di superficie) non sono allora assimilabili, perché significherebbe far decadere ogni potere di revoca, soprattutto quello motivato in mancanza del ‘pubblico uso del mare o per altre ragioni di pubblico interesse’. Non basta che il decreto abbia previsto il ‘libero accesso al mare’, perché il ‘pubblico uso del mare’ prevede anche la visibilità del mare e dell’orizzonte marino, oltre a quella delle dune e delle spiagge.

Come potrebbero conciliarsi le due situazioni di un titolare di un diritto di superficie che ostruisce con le sue strutture la visibilità del mare su suolo demaniale, con il fatto che non esiste più alcuna possibilità di revoca del suo diritto acquisito in funzione del Codice della Navigazione? Come si eserciterebbero i poteri di controllo sulle aree demaniali marittime già edificate? Far passare il decreto significherebbe ‘sanare’ gli abusi esistenti che fino ad oggi non sono mai stati perseguiti (basta prendere come esempio il lungomare di Ostia). O è un tentativo per realizzare un modello di riferimento per operare analogamente lungo fiumi, torrenti e laghi, annullando ogni distinzione nella gestione delle diverse tipologie di suolo pubblico?

CONCLUSIONI

Una certezza rimane. La categoria dei balneari (non tutti, ma la gran parte) ha usufruito per troppo tempo di enormi privilegi, messi in discussione nel 2009 dalla Comunità Europea. Ora cerca di riunirsi in distretti turistico-alberghieri “a burocrazia zero” per mantenere sgravi fiscali e semplificazioni normative. Se la delimitazione dei distretti sarà effettuata dall`Agenzia del Demanio, quello che si prospetta sarà non tanto la cementificazione delle coste che già esiste, ma vere aree non controllate dallo Stato (porti e pontili compresi).
Non dimentichiamo che nello stesso tempo è in corso la declassificazione delle aree del demanio marittimo per invasivi progetti urbanistici, incluse tutte le superfici con i manufatti sopra esistenti, non più destinate a stabilimento balneare bensì ad attività turistiche, produttive, ricreative e ricettive. Queste saranno oggetto di diretta alienazione dal momento che hanno già di fatto perso, come indicato sopra, i caratteri della demanialità.
Il problema è che molte di quelle strutture, quelle per cui oggi si rivendica il ‘diritto di superficie’, sorgono su demanio e sono pertinenze demaniali, infrangendo i requisiti concessori. Andrebbero abbattute, non sanate. La soluzione? Invece di rincorrere la propaganda di Berlusconi e Tremonti, sarebbe opportuno applicare le leggi esistenti e fare un po’ di pulizia. Anche dalle infiltrazioni mafiose che in questo giochino del ‘diritto di superficie’ guadagnerebbero più di tutti.

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