Mondiali di Nuoto Roma ’09: partito il processo ma con 3 novità

Mentre parte il processo per gli impianti privati, la Procura apre un’inchiesta sul Polo di Ostia (pubblico), dopo che il TAR del Lazio ha chiarito i limiti dei poteri del Commissario Delegato, Rinaldi. Intanto il Comune di Roma mette in bilancio altri 8,5 milioni di euro per questi Mondiali terminati 2 anni fa.

Stamattina presso l’Aula 7 dell’edificio B del Tribunale di Roma si è svolta dalle ore 9:00 alle ore 10:00 la prima udienza del processo sui Mondiali di Nuoto Roma ’09, necessaria per decidere sull’ammissione dei testimoni al procedimento. Nel Ruolo d’Udienza affisso fuori dalla porta spiccava il nome di Claudio Rinaldi, Commissario Delegato per la gestione dei Mondiali, che una sorte ironica ha voluto accomunare al Giudice della Quarta Sezione penale, Daniela Rinaldi. Nell’attesa di ciò che risulterà dalle prossime udienze circa gli impianti privati sorti per i Mondiali di Nuoto, tre ulteriori fattori dovranno essere tenuti in considerazione. Il primo è che è stato aperto un fascicolo da parte del PM Anna Maria Cordova sul Polo Natatorio di Ostia relativamente a una denuncia sporta da LabUr. Infatti i lavori presso questo impianto pubblico (Centro Federale FIN) sono fermi da quasi due anni per presunte pressioni sulla FIN stessa, come dichiarato da Paolo Barelli, presidente FIN, l’11 dicembre 2009 nell’atto depositato presso il Tribunale di Ostia. Il secondo fattore è che il TAR del Lazio il 12 gennaio 2011 ha già sentenziato che il Commissario Delegato non solo non aveva alcun potere di rilasciare il permesso di costruire ai sensi dell’art. 13 d.P.R. 380/2001 ma neppure quello di assentire una variazione ai vigenti vincoli paesistici ed idrogeologici. Il terzo fattore è che mentre si discute degli impianti privati, il Comune di Roma ha inserito nel proprio bilancio 2,62 milioni di euro come Contributi a vantaggio del Comitato Organizzatore dei Mondiali e altri 6 per il completamento dei poli natatori pubblici. Noi saremo sempre presenti alle udienze e ci aspettiamo che Angelo Balducci, Claudio Rinaldi e Gianni Malagò (i tre più importanti tra i 33 indagati) sappiano far chiarezza sulle loro responsabilità in questa che è stata una delle pagine più brutte dell’impiantistica sportiva a Roma.

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Tor Bella Monaca: PRINT o PRU ?

L’ultimo bluff di Alemanno su Tor Bella Monaca: non si tratta di un Programma di Riqualificazione Urbana, come fino ad oggi sostenuto, ma di un PRINT, Programma d’Intervento. LabUr l’aveva già sostenuto, ma la conferma è arrivata ieri, 25 marzo 2011, durante il primo incontro del processo partecipativo tenutosi presso la sede del Municipio VIII. Questa tipologia di strumento urbanistico adottato cambia la sostanza dell’intervento e finirà forse per generare un forte danno erariale se non si farà chiarezza sulle modalità con cui si intende procedere. Vediamo perché.

Ricordiamo innanzitutto che tutto il quartiere di Tor Bella Monaca è un insediamento residenziale pubblico (Piano di Zona n. 22), costruito tra il 1981 e il 1983 in attuazione del I PEEP (Piano di Edilizia Economico e Popolare) di Roma ai sensi della Legge 167/62. Alemanno vuole, attraverso la Decisione di Giunta Capitolina n. 6 del 16.02.2011, approvare la decima variante del Piano di Zona, impiegando lo strumento urbanistico del Programma d’Intervento (PRINT), dettagliato all’articolo 14 delle Norme Tecniche di Attuazione del Nuovo Piano Regolatore Generale (NPRG) del Comune di Roma.
In sostanza un PRINT è un’iniziativa pubblica la cui finalità è di sollecitare, coordinare e integrare soggetti, finanziamenti, interventi pubblici e privati, diretti e indiretti per migliorare la qualità urbana e ambientale. Nella realtà il PRINT viene utilizzato per apportare varianti urbanistiche belle e buone dove non si sarebbe potuto agire altrimenti. Ma chi controlla la legalità del procedimento ? Nessuno, anche se la Provincia, in teoria, potrebbe opporsi. Il Comune infatti, prima della variante, dovrebbe chiederle espressione di parere. Dunque il rischio per quanto riguarda il PRINT di Tor Bella Monaca è quello di ridurlo a un banale piano di lottizzazione.

Il danno peggiore però risiede altrove, cioè nei cosidetti Programmi Complessi, che servono a reperire i finanziamenti per le opere di urbanizzazione. Nei programmai complessi non c’è solo il PRINT, ma anche lo strumento urbanistico del Programma di Recupero Urbano. I Programmi di Recupero Urbano (P.R.U.) però sono degli strumenti urbanistici basati su due leggi promulgate all’inizio degli anni ’90: la legge n.179 del 1992 “norme per l’edilizia residenziale pubblica” e la legge n.493 del 1993 “per l’accelerazione degli investimenti ed il sostegno dell’occupazione e per la semplificazione dei procedimenti in materia edilizia”. La n.179 del 1992 ha definito le finalità e modalità della programmazione, la copertura finanziaria, gli obiettivi sociali speciali, i contributi di edilizia agevolata, i soggetti operanti e soprattutto i programmi integrati di intervento, strumenti poi utilizzati per riqualificare non solo l’abitato, ma anche gli spazi pubblici delle periferie. La legge n.493 del 1993 ha snellito invece solo alcune procedure burocratiche per accelerare i processi di investimento e di occupazione in materia edilizia, definendo a sua volta i P.R.U. nell’articolo 11 al comma 2, da qui conosciuti come ‘Art.11′.

Bene, la Commissione all’Urbanistica della Regione Lazio ha approvato all’unanimità, il 23 settembre 2005, il P.R.U. di Tor Bella Monaca. Questo prevedeva 6 interventi privati, 27 pubblici per oltre 150 milioni di euro di investimenti. A distanza di quasi 20 anni dalla promulgazione della legge e di 6 dalla firma del’accordo di programma tra Regione Lazio, Comune di Roma e Costruttori Romani, deve ancora essere realizzato quasi tutto. Adesso incombe dunque il rischio dell’accavallamento con il PRINT. Alemanno non ha assicurato alcuna compatibilità urbanistica tra vecchi e nuovi interventi. Se non ci sarà compatibilità, dove finiranno i soldi previsti nel 2005 (il 70% dei quali, a carico dei privati) ? E’ inutile sostenere da parte del Comune di Roma che lo stato di diritto alla base della variante è dato dall’insieme delle previsioni del Piano di Zona integrate con il P.R.U. di Tor Bella Monaca se non si mettono nero su bianco i numeri, reali, degli standard urbanistici che si otterranno. Potrebbero addirittura, nella previsione del PRINT, essere stralciate, integrate, ridotte alcune opere pubbliche del vecchio P.R.U. a vantaggio unico dei privati, che non pagherebbero così quanto dovuto, con conseguente danno erariale.

Alemanno deve chiarire questo punto ed impegnarsi a completare, prima del PRINT, le opere pubbliche rimaste sospese. Non ci si deve illudere perché già il 28 Aprile 2009, presso la sala “Verdi” dell’Hotel Quirinale a Roma, la Commissione Urbanistica dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma, presieduta da Errico Stravato, subito dopo ‘eletto’ come direttore del Dipartimento di Urbanistica del Comune, organizzava il seminario “Programmi Integrati, limiti e prospettive nel Piano Regolatore di Roma”.

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Olimpiadi Roma 2020: Pescante verificherà i vincoli sul campo di golf

Strutture alberghiere, ristoranti e aree commerciali in area golenale (presso la Nuova Fiera di Roma) per un campo di golf da 90 ettari. Violentata la Riserva Naturale Statale del Litorale Romano.

Un progetto di rara incompatibilità ambientale per uno sport come il golf che tornerà ad essere olimpico nel 2016, come da noi segnalato a gennaio 2011. Nessuno dice e ha mai detto nulla, neppure gli ambientalisti che hanno un proprio rappresentante dentro la Commissione di Riserva del Ministero dell’Ambiente, designato dalle associazioni riconosciute ai sensi della legge n.349/1986. Lo conferma pure Mario Pescante, Presidente del Comitato promotore per Roma 2020, che ha ammesso di essere a conoscenza della ‘trasversalità’ politica nel promuovere il nuovo campo di golf: “nessuno ha sollevato problemi”. E’ accaduto durante il seminario “Quali Olimpiadi a Roma ?” del 18 marzo presso l’American Palace all’EUR. Pescante lo ha detto chiaro: no alle speculazioni, no ai poteri straordinari e rispetto dei vincoli ambientali. Tramonta l’accordo condotto sottobanco da tutta la politica romana ? Si tratta di un campo da golf da 90 ettari, con percorso di 18 buche per 7 km, dentro la Riserva Naturale Statale del Litorale Romano, davanti alla Nuova Fiera di Roma, in piena zona golenale. A svelare a suo tempo questo progetto era stato Bruno Cignini, Direttore della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano, che l’11 dicembre 2010 durante un incontro pubblico, aveva detto: “Per poter essere presa in considerazione la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2020 serve che la città si doti di un impianto di golf pubblico. Quell’area è stata scelta in accordo con la Federazione Italiana Golf”. Pescante ha invece corretto Cignini affermando che se Roma verrà selezionata per le Olimpiadi del 2020, potrà anche impiegare un impianto golfistico privato. In effetti nel dossier Roma 2020 è stato indicato il Golf Club Olgiata, realizzato nel 1961 e ristrutturato nel 2002, per il quale è prevista una spesa di 500 mila euro per i mesi da febbraio a maggio del 2020, se Roma diverrà sede olimpica (soldi non pubblici ma interni al budget dell’Organising Committee Olympic Games). Ora, chi la spunterà ? Da una parte Pescante, che ribadisce: “se un nuovo impianto sarà previsto in un sito sottoposto a vincolo, si sceglierà un’altra area”. Dall’altra, il vecchio accordo (del 22 novembre 2006) tra l’ex sindaco di Roma, Walter Veltroni, e l’allora presidente della Federazione Italiana Golf, Franco Chimenti, del mega campo da golf presso la Nuova Fiera di Roma. Pescante ha concluso il seminario dicendo che verificherà i vincoli esistenti e la compatibilità con la realizzazione di un campo di golf. Peccato che in quell’area siano previste però anche strutture alberghiere, ristoranti e aree commerciali.

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Idroscalo di Ostia: esposto denuncia contro il Sindaco di Roma, Giovanni Alemanno

Oggi è stato inoltrato alla Procura di Roma un esposto denuncia contro il Sindaco Alemanno per il parziale sgombero dell’Idroscalo di Ostia avvenuto il 23 febbraio 2010 mediante un’ordinanza di Protezione Civile di cui Alemanno si è servito, come Ufficiale di Governo, per demolire circa 40 case. Nell’esposto, si chiede di prendere in considerazione l’eventualità del reato di procurato allarme previsto all’art. 658 del c.p. in quanto il 23 febbraio non esisteva alcun evento calamitoso, nonché il reato di abuso d’ufficio previsto all’art. 323 del c.p. per aver arrecato danni ingiusti a privati non essendo contemplata nell’ordinanza la demolizione dei manufatti ed infine il reato di omissione di atti d’ufficio previsto dall’art. 328 del c.p. in quanto, per ragioni di sicurezza pubblica, doveva essere realizzata senza ritardo la protezione degli argini presso il fiume Tevere con palancole in acciaio tipo Larssen 23, opera mai realizzata.
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Alla Procura della Repubblica di Roma
Piazzale Clodio (Via Golametto, 12)
00195 Roma

Procuratore: Dr. Giovanni Ferrara

Roma, 15 marzo 2011

Oggetto: Mancata esecuzione dell’ordinanza del Sindaco di Roma, Giovanni Alemanno, n.43 del 17 febbraio 2010 relativamente alla difesa lato fiume dell’abitato dell’Idroscalo di Ostia, nonché ipotesi di procurato allarme per mancanza di evento calamitoso e di abuso d’ufficio per aver utilizzato una ordinanza di Protezione Civile in una operazione di anti-abusivismo.

Il “Laboratorio di Urbanistica – LabUr”, nella persona del Presidente dr. Ing. Andrea Schiavone,

ESPONE E DENUNCIA I FATTI DI SEGUITO RIPORTATI

In data 17 febbraio 2010 il Sindaco di Roma, Giovanni Alemanno, ha firmato l’ordinanza n.43 avente per oggetto lo “sgombero di abitazioni, locali, strutture ed edifici del Municipio Roma XIII, insistenti nella zona denominata Idroscalo”.

Ai sensi dell’art.54 del Decreto Legislativo 18 agosto 2000 n.267, recante il Testo Unico sull’ordinamento degli enti locali, il Sindaco ha operato in qualità di Ufficiale di Governo, prendendosi la responsabilità di tutti i provvedimenti al fine di prevenire, in somma urgenza, tutti i gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana dell’abitato dell’Idroscalo di Ostia.

L’elaborato tecnico, allegato all’ordinanza, redatto dalla competente Unità Organizzativa Tecnica del Municipio Roma XIII, indicava i manufatti maggiormente esposti al pericolo, parte integrante della stessa ordinanza, nonché gli interventi da eseguire.

PREMESSO

1. che l’ordinanza n.43 del 17 febbraio 2010 è stata protocollata il 17 febbraio 2010 dal Segretariato Generale (n.2228) e dal Gabinetto del Sindaco (n.10373), mentre è stata trasmessa per pubblicazione all’Albo Pretorio (prot. di entrata n.50271) solo il 23 Febbraio, quindi dopo l’operazione di sgombero (che, ricordiamo, è iniziata alle ore 5:00 del 23 Febbraio come risulta dalla comunicazione inoltrata dalla U.O. Pianificazione e Servizi della Polizia Municipale ai vari Gruppi, a firma del vice comandante Diego Porta);

2. che l’ordinanza è stata notificata ai residenti interessati dell’abitato dell’Idroscalo di Ostia solo la mattina del 23 febbraio 2010 alle ore 8:20, come risulta dai verbali della Polizia Municipale – VIII Gruppo (Ufficio Coordinamento Operativo per la Repressione dell’Abusivismo Edilizio);

3. che l’ordinanza si è conclusa in data 27 febbraio 2010, come riportato nel rapporto della Polizia Municipale – VIII Gruppo, prot.26966 del 15 maggio 2010 e come asserito dallo stesso Avvocato Rodolfo Murra nella memoria difensiva presentata dal Comune di Roma il 1° giugno 2010 presso il TAR del Lazio (II Sez. – R.G. 3870/2010);

4. che l’ordinanza aveva caratteristiche di Protezione Civile e prevedeva dunque non solo lo sgombero dei manufatti ma anche la difesa dell’abitato di Ostia mediante posa, presso gli argini del fiume Tevere, di palancole in acciaio tipo Larssen 23, per una lunghezza di circa 200 metri, opera mai realizzata;

5. che l’ordinanza di Protezione Civile è stata utilizzata invece in un’operazione di anti-abusivismo, per la demolizione di quasi 40 manufatti, pur non essendoci mai stato alcun avviso di avvio di procedimento inoltrato agli occupanti, come previsto dalla Legge 241/90;

6. che non c’è stata alcuna mareggiata tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010 che abbia creato all’Idroscalo di Ostia danni alle strutture, alle persone e all’ambiente, fatto sostenuto dall’ordinanza ma smentito a mezzo stampa dallo stesso Presidente del XIII Municipio, Giacomo Vizzani, competente per la procedura di sgombero dell’Idroscalo di Ostia, nonché dalla Protezione Civile del Comune di Roma che non aveva emesso per la data del 23 febbraio 2010 alcun avviso di meteo avverso come disposto dalla Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27/02/2004;

7. che solamente in data 1° dicembre 2008 si è manifestato un importante intervento di Protezione Civile presso l’Idroscalo di Ostia da parte del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco, che indicava però 10 e non 40 le abitazioni presso la battigia dove intervenire per la salvaguardia delle persone, senza contemplarne la demolizione (fonogramma n.41583 del 01/12/2008, rif. Scheda n.52851, a firma del funzionario di servizio, D.V.D. Alberto Di Plinio);

CHIEDE

per tutti questi fatti e per tutti quelli che l’Autorità Giudiziaria ravviserà in essi e contro tutti coloro che di tali reati saranno ritenuti responsabili, la punizione dei colpevoli e l’assoggettamento degli stessi a giusta pena per negligenza e mancata attuazione a distanza di più di un anno dei necessari interventi a difesa dell’incolumità pubblica e della sicurezza urbana dell’abitato dell’Idroscalo di Ostia.

Chiede altresì, considerati i punti 6) e 7) delle premesse, che sia presa in considerazione l’eventualità del reato di procurato allarme previsto all’art. 658 del c.p. , nonché il reato di abuso d’ufficio previsto all’art. 323 del c.p. per aver arrecato danni ingiusti a privati non essendo contemplata nell’ordinanza la demolizione dei manufatti ed infine il reato di omissione di atti d’ufficio previsto dall’art. 328 del c.p. in quanto, per ragioni di sicurezza pubblica, doveva essere realizzata senza ritardo la protezione degli argini presso il fiume Tevere con palancole in acciaio tipo Larssen 23.

Il sottoscritto, si riserva di produrre tutta la documentazione sopra richiamata e si riserva di integrarla ulteriormente restando comunque a disposizione per qualsiasi chiarimento in merito al presente esposto.

Chiede infine di essere avvisato, ai sensi dell’art. 408 c.p.p., in caso di richiesta di archiviazione e, ai sensi dell’art. 406 comma 3 c.p.p., in caso di eventuale richiesta di proroga del termine per le indagini preliminari.

Con osservanza,

“Laboratorio di Urbanistica – LabUr”
Il Presidente
dr.Ing. Andrea Schiavone

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Ostia: soldi per le spiagge dei privati e chiusura per quelle pubbliche

Mentre la Regione Lazio con la Delibera di Giunta nr.96 dell’11 marzo 2011 regala alle spiagge di Ostia Levante in concessione ai privati ben 15,5 milioni di euro per gli anni 2011-2013 (di cui 4 del Comune di Roma), l’Idroscalo di Ostia aspetta da quasi un anno i lavori della scogliera a difesa dell’abitato. Senza parlare delle spiagge libere di Ostia Ponente sul Lungomare Duca degli Abruzzi (da via del Sommergibile fino al porto), che hanno ricevuto solo 450 mila euro e saranno interdette alla balneazione quest’estate fino al 20 luglio, se tutto va bene (ordinanza della Capitaneria di Porto, 009/2011/T).
Questo della Regione non è dunque un programma straordinario di difesa delle coste, ma un’elargizione bella e buona agli affari dei balneari in prossimità della stagione estiva. Nei 15,5 milioni di euro, ben 10 sono destinati per il ripascimento, gli altri per la difesa costiera. La Regione Lazio quindi non si fa scrupolo di affidare alla stessa ditta sia i lavori di Ostia Ponente sia quelli all’Idroscalo, allungando di fatto i tempi di realizzazione ed esponendo alle mareggiate per tutto l’inverno le case dell’Idroscalo. Così come non si fa scrupolo di interdire la balneazione a Ostia Ponente a causa dei ritardi nei lavori. Si affretta invece a garantire ai concessionari privati di Ostia Levante l’ultimazione del ripascimento in tempo utile per la stagione balneare, mentre i relativi lavori di difesa verranno eseguiti a fine stagione balneare, quando le mareggiate riporteranno via la sabbia e nuovi soldi dovranno esser spesi da parte dei contribuenti. In fondo, il mare ‘nostrum’ è da tempo solo il loro, ma con i nostri soldi.

UFFICIO STAMPA
(nella foto: i lavori in corso a Ostia Ponente)

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Porto Turistico di Ostia: esposto in Procura per presunte irregolarità sulle concessioni

Come si è potuto costruire il Porto Turistico di Ostia se le concessioni edilizie le doveva rilasciare l’ufficio tecnico dell’allora XIII Circoscrizione, che però nega di averlo fatto ? A queste domande ci risponderà la Procura della Repubblica di Roma a cui nella prossima settimana invieremo un dettagliato esposto, citando anche la politica locale, in particolare l’ex-presidente della XIII Circoscrizione, Paolo Orneli (PD), poi diventato delegato del sindaco per il litorale ed oggi consigliere del XIII Municipio. Orneli dovrà spiegare, tra le altre cose, come mai non si è dato seguito alla convenzione con il Comando Generale della Guardia di Finanza per la costruzione di una Caserma del gruppo e della Compagnia d’Ostia Lido, dove invece oggi sorgono alberghi e residence. Non solo, ma dovrà spiegare con quale criterio la superficie complessiva dell’area (circa 575.000 mq, di cui 187.000 relativi allo specchio d’acqua), la cui destinazione secondo il P.R.G. del Comune di Roma era per la gran parte destinata a Zona N (verde pubblico) ed in parte Zona E/3 (Aree destinate ad Edilizia Economica e Popolare), è stata variata. Molte risposte, molti misteri, che a suo tempo già venivano sollevati dalla stampa, che scriveva: “… testardo, Mauro Balini [presidentte dell’A.T.I. Spa, concessionaria dell’area demaniale del porto] è riuscito a costruire il porto di Roma. Ha dribblato le lungaggini della burocrazia grazie a una torma di ex consiglieri circoscrizionali…”.
La storia dei lavori del Porto Turistico di Ostia comincia il 1° gennaio 1999, come riportato su una lettera della stessa concessionaria dell’area demaniale, l’Attività Turistiche Imprenditoriali Spa (A.T.I. Spa). Peccato che l’autorizzazione al Sindaco a procedere all’Accordo di Programma, ai sensi dell’art. 27 della L. 142/90, per la realizzazione dell’intervento denominato “Porto di Roma” in località Ostia Ponente, fu deliberata solo il 30 giugno 1999 (nr.88). Non solo, ma la consegna anticipata delle aree comunali, del Demanio Marittimo e del Demanio dello Stato, al fine della realizzazione dell’approdo per il diporto nautico, è del 21 gennaio 1999 (ordinanza del Sindaco – Dipartimento III, n. 7), mentre la ratifica dell’accordo di programma è avvenuta con delibera del Consiglio Comunale nr.51 del 31 luglio 2000. Ci domandiamo, come ha fatto il Porto Turistico ad iniziare i lavori 18 mesi prima ? Lo stesso Comune di Roma (ex Dipartimento IX – U.O.2, Ufficio Concessioni Edilizie) ha confermato che l’approvazione del progetto edilizio del porto è avvenuta dopo la ratifica del Consiglio Comunale. Infatti il primo cartello lavori è del settembre 2000, a lavori già iniziati da più di un anno, in cui si cita la dovuta autorizzazione n.46791 addirittura del 7 luglio 1998 da parte della allora XIII Circoscrizione, ma non per il porto turistico, bensì per il Centro Habitat Mediterraneo (C.H.M.). Qui l’imbroglio, perché l’Ufficio Tecnico della XIII Circoscrizione scriveva successivamente, il 9 luglio del 2001 (pochi giorni dopo l’inaugurazione del porto), che “l’autorizzazione nr.46791 del 7/7/1998 non risulta rilasciata da questa U.O.T.”. Un mistero che solo la Procura potrà chiarire.

dr.Ing. Andrea Schiavone
Il Presidente

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Roma, XIII Municipio: all’Infernetto, su via di Castelporziano, le buche aspettano il prossimo morto

Il presidente del XIII Municipio vanta, tra gli ‘impegni mantenuti’ un’asfaltatura che non c’è. Dove poco più di 2 anni fa morì un giovane automobilista, la strada è rimasta tale e quale. Centinaia di auto dirette alla Chiesa di San Tommaso e alla Scuola Mozart compiono veri slalom ogni giorno lungo 800 metri di buche e rattoppi. Spariti i soldi stanziati a luglio scorso: ben 150 mila euro.

Poco più di 2 anni fa un pauroso incidente costò la vita a un giovane automobilista italiano, su via di Castelporziano, a causa di una voragine improvvisa apertasi di notte nel manto stradale. Oggi lo stesso punto è nelle stesse condizioni e i circa 800 metri che da qui si contano, da via Girolamo Cavezzoni a Via Angelo Mariani, sono anch’essi pericolosamente dissestati. Ci troviamo nella popolosa zona residenziale dell’Infernetto (quasi 40 mila abitanti), lungo la strada principale al centro dell’abitato, dove passano  ogni ora centinaia di auto dirette alla Chiesa di San Tommaso e alla Scuola Mozart, le più importanti del quartiere. Per Vizzani, presidente del XIII Municipio, è invece tutto a posto. Addirittura è riuscito a dichiarare che l’asfaltatura di Via di Castelporziano è stato uno degli obiettivi raggiunti nel suo mandato. Vizzani deve avere avuto qualche visione, perchè l’unica strada veramente asfaltata è via Alessandro Magno (tra via di Casalpalocco e via Solone) dove Vizzani passa con la sua Porsche, uscendo dal cancello di casa, tutte le mattine. Vizzani c’era il 28 dicembre 2008 quando ci fu l’incidente mortale e c’è ancora oggi: non ha fatto nulla. Anzi si. Vizzani è riuscito a non spiegare perché siano scomparsi i soldi che qui si dovevano spendere (150 mila euro), perché anche questi 800 metri erano dentro i 5 milioni di euro stanziati a luglio scorso. L’unica speranza che gli rimane è che non accada un altro incidente mortale, perché in tal caso non avrebbe alcuna attenuante.

O.L.P. – Osservatorio Lavori Pubblici

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De Jesus (PD): “Il Lungomare di Ostia barattato con la Metro C”

1.000 alloggi, 3 miliardi di investimenti, 153 milioni nelle casse del Comune di Roma. Questi i numeri che Alemanno in 6 anni pensa per il Lungomare di Ostia. Ma da dove proverranno i fondi ? Dai privati. Si delinea lo scenario già impostato a luglio 2010 di nuove concessioni edilizie regalate ai costruttori per poter finanziare i lavori della Metro C, i cui costi (nelle tratte T2 e T3) sono ormai raddoppiati.

Dove sono finiti i progetti (e i soldi) per la riqualificazione del lungomare di Ostia ? Da più di un anno Alemanno promette di mostrarli, ma annulla il giorno dopo l’evento annunciato. L’ultimo, quello del 15 febbraio a Cineland (Ostia). Ora il nuovo appuntamento è per gli Stati Generali (22-23 febbraio, Palazzo dei Congressi, all’EUR) dove verrà inaugurata la Mostra dei progetti strategici di Roma Capitale. Tra questi, appunto, il Programma di riqualificazione di Ostia e del Lungomare, un accordo di programma che prevede un milione di mc per 1.103 alloggi con un investimento di 3 miliardi e che porteranno alle vuote casse del Comune 153 milioni di oneri concessori. Si stimano 1.000 addetti fissi ma non si è mai spiegato di cosa si parla e soprattutto con chi si farà questo ‘accordo di programma’. Ricordiamo che nel diritto amministrativo italiano un accordo di programma è una convenzione tra enti territoriali (regioni, province o comuni) promossa per realizzare delle opere e che il proponente (in questo caso Alemanno) deve indicare con quali fondi si faranno le opere. La soluzione Alemanno l’ha già trovata. Ci riferiamo alla Metro C, che già nel dicembre 2001 fu inserita dal CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) nel 1° Programma delle Infrastrutture Strategiche, in base alla “Legge Obiettivo” n. 443/2001.
Sono passati 10 anni ma i lavori vanno a rilento, quasi fermi, perché i soldi non ci sono. Un esempio su tutti. Nella seduta del 22 luglio 2010 il Cipe ha approvato la tratta T3 della metro C (Colosseo/San Giovanni), approvando 282 milioni di costi in più rispetto ai 510 iniziali. Nella stessa data, l’amministratore delegato di Roma Metropolitane, Federico Bortoli, ha però invitato i privati facenti parte della compagine di imprese costituenti il Contraente Generale (Astaldi, Vianini Lavori, Ansaldo Trasporti, Cmb, Ccc) a finanziare il 50% della realizzazione della tratta T2 (Colosseo/Clodio, quella che passa per P.zza Venezia e San Pietro), passata da 818 milioni a 1,5 miliardi di euro, di cui il 70% coperto dallo Stato. Come si troveranno questi finanziamenti ? Ottenendo dal Comune di Roma, a favore dei privati, la possibilità di costruire ulteriori parcheggi e strutture commerciali nelle stazioni, ma anche di edificare su aree comunali od espropriate esterne al centro storico. Dove ? Il lungomare di Ostia. Così non solo tornano i conti, ma anche i tempi. La tratta T2 è slittata al 2016 ed il Comune di Roma ha previsto (nel 2010) 6 anni per completare il lungomare. La proposta economica doveva arrivare a Natale ma è stata rinviata a fine febbraio. Ne aspettiamo l’annuncio agli Stati Generali.
I signori amministratori stiano però molto attenti nel formularla anche perché c’è un precedente. La gara della Metro D è stata sospesa dopo l’intervento dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture di luglio 2010, in cui manifestava la perplessità che si finanziassero i lavori in modalità analoga. L’Autorità ha sostenuto che “la valorizzazione immobiliare appare una misura estemporanea con tutte le incertezze del caso”, asserendo che in tale modalità il trasferimento dei rischi è tutto a sfavore della Amministrazione, cioè delle tasche di noi contribuenti. Aspettiamo dunque gli Stati Generali, sperando che non si trasformino (per Alemanno) in uno Stato d’Assedio.

dott.ssa Paula de Jesus
Urbanista e Membro dell’Assemblea Regionale delle donne del PD

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Le ‘Ville di Massimo’ ? Un bel pasticcio.


La sigla ATO R20 sta per Ambito di Trasformazione Ordinaria prevalentemente residenziale (‘R’). La numerazione (’20’) deriva dall’assegnazione ricevuta all’interno del nuovo Piano Regolatore Generale (PRG) del Comune di Roma. Gli ATO riguardano aree libere già edificabili secondo il PRG del 1962 alle quali viene confermata l’edificabilità. Per poter costruire, occorre in generale un’iniziativa privata, nel senso che i proprietari dei terreni dentro l’ATO rappresentanti la maggioranza assoluta del valore degli immobili, riunitisi in Consorzio, possono presentare al Comune un progetto. Questo progetto deve essere unitario ed esteso a tutto l’ATO. Agli altri proprietari viene garantita la possibilità di aderire per poter costruire. I proprietari che non aderiscono, vengono prima diffidati dal Consorzio ad aderire. Se ciò non avviene, il Consorzio acquisisce la disponibilità di tutte le aree tramite esproprio.

Ora, a vendere le ‘Ville di Massimo’ (solo sulla carta, senza alcun progetto approvato dal Comune) è stata la società Consorzio Imprese, che dentro l’ATO risulta proprietaria solo della metà della particella 153 del foglio 1078 (dati del Catasto terreni dell’Ufficio provinciale di Roma, aggiornati al 14 febbraio 2011). Le altre particelle che costituiscono l’ATO R20, sommate alla 153, restituiscono una superficie totale di quasi 20 ettari. Dunque con 4,1137 ettari (la metà della 153) Consorzio Imprese non può matematicamente avere “la maggioranza assoluta del valore degli immobili” per avere titolo nel presentare un progetto. Nè ci risulta che si sia mai costituito un consorzio tra Consorzio Imprese e gli altri proprietari. Sorvoliamo sul fatto che secondo il Comune di Roma è stato addirittura richiesto il 75% dell’imponibile catastale dell’area oggetto di pianificazione per avviare l’istruttoria della convenzione urbanistica (cfr. nota del comune del 29.7.2009 n.14203 citata dall’ordinanza TAR del 27 luglio 2010, n.01200/2010 reg.ord.coll.). Il fatto più grave rimane infatti che il commissario ad acta, incaricato dal TAR su ricorso della società Consorzio Imprese, abbia scritto il 18 maggio 2010, che il 55,04% nell’ATO R20 è della società Consorzio Imprese. Aveva già dichiarato il 2 febbraio 2009 il geometra Lentini Paolo, Amministratore unico della Consorzio Imprese srl: “l’ATO R20 è di nostra proprietà per la parte, con la quale deteniamo il 53% circa dei valori degli immobili contenuti nell’ATO su base catastale”. La matematica sembra essere un’opinione per l’ATO R20: se la società Consorzio Imprese ha solo metà (cioè 50%) della particella 153, facendo anche finta che le altre particelle non esistono, come fa ad avere il 55% del totale ?

Concludendo: la società Consorzio Imprese indica una sede legale mai avuta, si affida per le vendite a Lentini Giuseppe che non ha mai avuto alcuna carica societaria, non ha la maggioranza assoluta tra i proprietari e senza alcun progetto approvato incamera i soldi da incauti acquirenti.
Un bel pasticcio.

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Roma, XIII Municipio: sbaglia l’amministrazione, paga il fabbro. Grottesco errore urbanistico.

Un incredibile errore amministrativo di 7 anni fa, innesca la corsa contro il tempo del Municipio per proteggere gli interessi di un potente costruttore. Perchè contro il fabbro che invece aveva usucapito il terreno, l’azione solerte dei funzionari per realizzare un parco pubblico, senza l’esproprio per pubblica utilità ? Su altre opere più importanti, come una stazione della metro mai fatta o la nuova sede del Municipio ancora senza progetto, il silenzio invece dell’amministrazione. La storia di un centinaio di milioni di euro scomparsi e di un costruttore da proteggere.

Una nuova stazione della Roma-Lido, il Palazzo della Musica, una nuova sede del Municipio, sottopassi, nuove strade, piste ciclabili e anche il restauro di ville romane in degrado. Cosa si è fatto ? Nulla, mentre per ottenere un piccolo parco pubblico (opera nr.33, poco più di un ettaro) si stanno scatenando consiglieri, assessori, uffici tecnici, polizia municipale, polizia tributaria e la giustizia ordinaria. Parliamo delle opere pubbliche previste nel Programma di Recupero Urbano Acilia-Dragona, XIII Municipio, che dovevano esser terminate 3 anni fa. Un centinaio di milioni di euro che non si sa dove sono finiti. Perché allora così tanta fretta e solerzia nel voler realizzare questo piccolo parco pubblico ? Semplice: quel parco pubblico fornisce i requisiti (standard urbanistici) affinchè si possa costruire da parte di un privato un albergo, negozi, una banca e centinaia di abitazioni già in vendita (alcune già in costruzione, altre ancora sulla carta). A farne le spese, un fabbro che dal 1970 lavora su quei terreni destinati oggi a parco, in Via di Macchia Saponara 59. Un fabbro che nel 2003 ha ottenuto per usucapione quell’area dove si svolge da 40 anni la sua attività, la stessa area che un ignaro funzionario del Comune di Roma, nel 2004, dichiarò invece essere ancora di proprietà comunale, destinandola a parco pubblico. Così, da qualche anno, si è cominciato a costruire, fino a quando si è scoperto l’impiccio. Da questo punto in poi, la domanda: “E mò chi glielo spiega al costruttore ?“. Nessun problema, l’amministrazione ha trovato subito il rimedio: primo, insabbiare il proprio errore iniziale, secondo, gonfiare gli abusi edilizi del fabbro fino a sostenere che la sanzione amministrativa conseguente deve essere ripagata con la totale confisca del terreno. Il gioco sembrerebbe fatto. Sembrerebbe, perché nel frattempo il TAR del Lazio ha disposto che l’attività del fabbro deve essere tutelata, quindi l’amministrazione deve ora indicare se l’area in questione può garantire sia il parco che l’attività del fabbro. Perché nel caso in cui ciò non sia possibile, bisogna trovare una sistemazione al fabbro. Gli attori di questa grottesca situazione, sono: Sergio Pannacci (presidente della Commissione Urbanistica del XIII Municipio), l’Arch. Angela Violo (resp.le del procedimento nel 2004), l’impresa Di Veroli, l’azienda TG70. Teniamo a precisare che chi ha sbagliato (oggi e allora) è solo l’amministrazione. In fondo il costruttore si è ‘fidato’ che le carte fossero a posto, così come la TG70 mai è stata fatta partecipe del progetto iniziale. Come finirà la questione ? Il 17 febbraio il TAR valutera la possibilità di convivenza tra parco e fabbro. Noi intanto vigileremo affinchè gli interessi pubblici siano tutelati, in due modi: seguendo l’operato (finora un bel po’ raffazzonato) dell’amministrazione ed esigendo che la stessa solerzia sia applicata per la realizzazione delle altre opere pubbliche, ben più importanti di un piccolo parco. Ma già sappiamo che dovremo rivolgerci sia alla Corte dei Conti che alla Procura di Roma.
dr.Ing. Andrea Schiavone
Il Presidente

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