DA OSTIA A CASTELPORZIANO, UN MARE DI ‘MAFIA CAPITALE’

Un Comune, quello di Roma, stravolto da ‘mafia capitale’ interviene in nome della legalità presso uno dei suoi 15 Municipi, quello di Ostia, disciolto per ‘mafia capitale’. A gestire semplici operazioni anti-abusivismo, l’Assessore alla Legalità del Comune di Roma, Alfonso Sabella, coinvolto nello scandalo delle torture a Genova durante il G8 (Sabella era il responsabile della caserma di Bolzaneto). Il luogo, lo stesso in cui, per la stagione balneare 2014, alla cooperativa “29 giugno” di Buzzi (amico dell’ex-presidente del Municipio di Ostia, Andrea Tassone, nonché braccio destro di Carminati) è stato affidato il servizio di pulizia e manutenzione della spiaggia alla modica cifra di 236.860,56 euro, senza gara. Senza parlare della grottesca questione dell’apertura dei varchi a mare. Interventi straordinari, spettacolari che dimostrano davanti alle telecamere l’incapacità amministrativa di una Giunta Comunale che dovrebbe invece ricorrere con più modestia a quanto già previsto per legge.

I ‘CHIOSCHI’ DI CASTELPORZIANO
Sono più comunemente noti come i “cancelli” di Ostia, distribuiti lungo una spiaggia di 1,6 km che nel 1967 il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat donò al Comune di Roma, parte della tenuta presidenziale di Castelporziano, perché fosse gestita come spiaggia libera, con il vincolo di «mantenervi un complesso balneare pubblico ad uso gratuito», con la presenza di «cinque punti mobili di ristoro». Fu l’allora Ente Comunale di Consumo a installare sulla spiaggia le strutture mobili, che però ben presto si trasformarono in punti vendita all’interno di strutture in muratura di proprietà del Comune, affidate in gestione a privati. Nel 1990, con il fallimento dell’Ente Comunale di Consumo, i privati divennero veri e propri
concessionari del Comune. Solo nel 2002 però il Campidoglio ha siglato una convenzione con questi ultimi, riuniti nel consorzio “Castelporziano 98”. L’accordo, valido per dodici anni e scaduto lo scorso 14 agosto, prevedeva l’obbligo di versare oneri per un totale di 43 mila euro l’anno, di tenere pulita la spiaggia, di garantirne la sorveglianza, e vietava qualunque ampliamento delle strutture.
Così non è stato: le strutture si sono ampliate in maniera abusiva ma tollerate da sempre dal Comune di Roma, tanto che solo dopo ripetute segnalazioni da parte della Procura di Roma il Municipio di Ostia è stato costretto ad emettere una determinazione dirigenziale di demolizione e sgombero delle “superfetazioni e ampliamenti esterni realizzati abusivamente dell’arenile di Castelporziano”, per una spesa di oltre 130 mila euro. Anche qui, molta negligenza da parte del Municipio di Ostia. Il 28 aprile 2013 il sequestro dei chioschi da parte della Capitaneria di Porto di Roma, le ingiunzioni di demolizione notificate solo il 19 marzo 2014, fino ad arrivare al sollecito della Procura l’11 febbraio 2015 e alla demolizione dei chioschi del 1° e 6° cancello il 14 aprile 2015. Il tutto, inserito nel caos di ricorsi al TAR (che ritardano la demolizione degli altri chioschi) e per ultimo, il colpo di scena durante la demolizione del chiosco del 6° cancello: l’arrivo del fax da parte del Consiglio di Stato in cui si comunicava ad un frettoloso Comune di Roma l’esistenza di una sospensiva di carattere tecnico. Ma ormai i danni erano stati fatti.
Tutto ciò avrebbe avuto anche un senso se il Comune di Roma avesse dato seguito alle convenzioni e ai pareri espressi ripetutamente sul piano di demolizione e riqualificazione dei punti ristoro. A marzo 2005, la Regione Lazio, il Ministero dell’Ambiente e il Comune di Roma espressero infatti parere favorevole alla ricostruzione «di cinque nuclei di 300 metri quadrati ciascuno, coerenti con le norme igienico-sanitarie ed edilizie che regolano le attività di somministrazione e di ristorazione». Ma non se ne è fatto nulla sempre per inerzia e negligenza del Comune di Roma.
Proprio su quella gestione ora, oltre a un’inchiesta penale in corso, rischia di abbattersi la scure della magistratura contabile.
La Procura della Corte dei Conti del Lazio ha inviato una decina di inviti a dedurre per dirigenti e direttori che tra il 2003 e il 2012 si sono succeduti al tredicesimo (oggi decimo) municipio capitolino, quello di Ostia. I magistrati contabili contestano un danno erariale complessivo di 300 mila euro: l’equivalente degli oneri che i concessionari dei cinque punti di ristoro previsti ai “cancelli” di Ostia non avrebbero versato nelle casse pubbliche malgrado l’accordo con il Comune di Roma per l’affidamento del servizio lo prevedesse espressamente. Oneri non pagati perché, secondo l’accusa della Corte dei Conti, nessuno dal municipio competente si sarebbe sognato di riscuoterli, tranne che in un singolo anno, il 2008.
Va ricordato infine che, prima dello scioglimento del Municipio, il direttore che ha permesso per due stagioni il mantenimento di tale situazione, era sempre quel Claudio Saccotelli, già direttore del Municipio da luglio 2002 a luglio 2008. Non ha visto niente prima, non ha visto niente dopo.

I ‘VARCHI’ A MARE
Sul litorale romano mancano varchi, accessi carrabili e zone d’ombra sulla spiaggia. Ciascuna voce ha significato proprio anche se il Comune di Roma fa di tutto per creare confusione. A fare chiarezza è la legge 27 dicembre 2006, n. 296, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre 2006 – Supplemento ordinario n. 244. Ci sono due precisi commi che definiscono la questione di ‘accesso’ al mare:

– il comma 251, che sostituisce il comma 1 dell’articolo 3 del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, alla cui lettera e) si legge quanto segue: “obbligo per i titolari delle concessioni [demaniali marittime] di consentire il libero e gratuito accesso e transito, per il raggiungimento della battigia antistante l’area ricompresa nella concessione, anche al fine di balneazione”;
– il comma 254, che così recita: “le regioni, nel predisporre i piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, sentiti i comuni interessati, devono altresì individuare un corretto equilibrio tra le aree concesse a soggetti privati e gli arenili liberamente fruibili; devono inoltre individuare le modalità e la collocazione dei varchi necessari al fine di consentire il libero e gratuito accesso e transito, per il raggiungimento della battigia antistante l’area ricompresa nella concessione, anche al fine di balneazione”.

Dunque, una cosa è il diritto di accesso e transito “libero e gratuito” al mare, un’altra cosa è come realizzarlo all’interno di quello che si definisce Piano di Utilizzazione dell’Arenile (PUA), una sorta di piano regolatore urbanistico delle spiagge che ogni regione e comune costiero dovrebbe avere. Roma non ce l’ha e forse non ce l’avrà mai perché se c’è stata negligenza ed inerzia per i ‘chioschi’ di Castelporziano, figuriamoci per tutto quello che si è costruito sul lungomare, dalla foce del Tevere fino a Capocotta. I ‘varchi’, come oggi la propaganda mariniana e sabelliana amano chiamare, cosa sono? Passaggi pedonali per i bagnanti, passaggi carrabili per le operazioni dei mezzi di soccorso, corridoi di visibilità del mare? Il Comune di Roma non lo sa e li apre senza alcun criterio, senza alcun strumento urbanistico che li disciplini, svincolandosi di fatto da quanto previsto dalla legge: i varchi devono essere parte del PUA, altrimenti, per raggiungere il mare, basta tenere aperto il cancello del singolo stabilimento con orari e modalità definite dall’ordinanza che il sindaco emette ogni anno ad inizio della stagione balneare. In altre parole, aprire così i varchi è illegittimo e non serve a nulla perché non assolve ad alcuna funzione se non quella demagogica, favorendo gli interessi di quei balneari che continuano a tenere i propri cancelli d’ingresso interdetti al libero passaggio. Imbarazzante poi venire a scoprire che l’unico pseudo-varco ad oggi completato, il passaggio pedonale accanto allo stabilimento Battistini, è costato quasi 40mila euro, senza gara, con un affidamento diretto, per opere che forse sarebbero costate un terzo.

LE AUTORITA’ COMPETENTI
In questo clima di approssimazione normativa, troviamo davanti alle telecamere lo schieramento dei commissari PD (Orfini, quello di Roma, Esposito, quello di Ostia) che sembrano dettare la linea politica a un sindaco sempre più spaesato e un delegato del litorale, Sabella, che cerca di riscattare la sua immagine dopo esser caduto nella bufera delle torture del G8. Anche il comandante dei vigili urbani, Antonio Di Maggio, ancora non ufficializzato in sostituzione del precedente, Roberto Stefano, è un pesce fuor d’acqua ed è noto ad Ostia per aver condotto le operazioni della scandalosa demolizione parziale dell’Idroscalo, autorizzata da una finta ordinanza di protezione civile firmata da Alemanno. Del Municipio, nessuno, perché ancora nessuno si è insediato. Assente anche l’assessore all’Urbanistica, Caudo, troppo concentrato sule vicende dello stadio della Roma e non su quelle del Piano di Utilizzazione dell’Arenile. Questa è legalità amministrativa?

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